Il mio "Camino" verso Santiago 2014

Il mio "Camino" verso Santiago 2014

Il Camino guarisce il corpo senza prendere medicine e fa meglio della meditazione, è come una sorta di medicina naturale.
La marcia costringe ad avere un rapporto con il nostro corpo, il cervello interpreta tutti i segnali che arrivano dall’organismo, vai piano ma consumi tanto e sei di buon umore.


Ho percorso settecentocinquanta chilometri a sessanta anni, e con me tanti quelli che si sono messi in marcia senza troppo allenamento.
Giorno dopo giorno il mio senso di autoefficacia e di fiducia è aumentata permettendomi di raggiungire Santiago de Compostela senza problemi.

Siamo fatti per andare a piedi, il "Camino" è una prova che possono affrontare tutti a ogni età, senza tralasciare la prima parte del trasferimento, anche se ci sarebbe qualcosa di più da raccontare.
Dall’aeroporto della Malpensa a Bordeaux in aereo, biglietto ferroviario da Bordeaux a Saint Jean Pied de Port con fermata intermedia a Bayonne, dove, anziché proseguire con il treno, ho trovato ad aspettarmi diversi autobus sostitutivi.
Arrivo a Saint Jean Pied de Port nel tardo pomeriggio; diversi aspiranti pellegrini vagano con un atteggiamento tra il curioso e lo spaesato per le strette vie del centro, in attesa di partire l’indomani mattina.
Mi avvio con passo spedito verso il centro visitatori per far apporre il primo timbro sulla credenziale che attesta il luogo di partenza; purtroppo la coda è lunga a causa di un folto gruppo di pellegrini asiatici.
Terminata l’attesa il volontario mi spiega che non c’è più posto in ostello, ma che provvederà a farmi alloggiare in una casa privata insieme a due coppie di australiani.
Il tempo di sistemare gli zaini, dare uno sguardo alla camera e ci incamminiamo in cerca di un posto dove cenare.
Mangiamo menu alla carta, mentre parliamo di provenienza e motivazioni in quella lingua fatta di gesti e di aiuti di traduzioni.

La mattina seguente, con uno zaino di sei chili sulle spalle con dentro praticamente niente, poche certezze ma tanta voglia di inziare il mio "Camino", saluto con un caloroso buen Camino i miei primi compagni che prenderanno il sentiero a valle mentre io quello a monte.
Prima di uscire dalla porta di Santiago faccio visita a una chiesetta, accendo una candela chiedendo di avere la forza di arrivare fino in fondo.

Inizio così il mio "Camino" alle pendici dei Pirenei; al di là dei monti che ho davanti c’è Roncisvalles.
La strada per un breve tratto è asfaltata, poi sentiero di montagna.
Dare o ricevere il saluto “buen Camino“ si ripete ogni qualvolta si incontrano dei pellegrini.

La fatica è ripagata da panorami che ti appaiono dopo salite durissime e pendenze mozzafiato.
Cala la nebbia e la visibilità si riduce, ma sono deciso e determinato e tengo un ritmo elevato.
Bagnato all’esterno e sudatissimo all’interno, mi fermo per bere e assaporo l’idea della compagnia che avviene spontanea, ed io vi aderisco con entusiamo.
Scambio due parole con Thomas e Oscar e da questo momento sono certo che condividerò qualcosa con tutte le persone che incontrerò.
L’arrivo alla collegiata di Roncisvalle avviene all’improvviso appena si esce dal bosco ed è davvero coinvolgente dopo aver camminato per otto ore circondato da un paesaggio nuovo ed a volte irreale.

E' stata dura ma non molto di più di quanto pensassi.


Buen Camino, si riparte, siamo in tre sotto un cielo limpido e faccio ovviamente la fotografia al cartello che annuncia i prossimi settecentonovanta chilometri di strada.
Non siamo tra gli ultimi, ma a Burghette ne incontriamo una buona parte fermi ai tavoli dei bar.
In Spagna, ed è bene ricordarselo, gli orari dei bar sono diversi da quelli Italiani.
Il sentiero è in mezzo al bosco e costeggia l’argine del fiume.
Si attraversano pascoli, radure e la pendenza tende a scendere, si attraversano piccoli centri abitati, dove altri pellegrini sono fermi ai bar a ristorarsi.
Nel guadare un piccolo canale è bastato uno sguardo d’intesa e ci rendiamo conto che il pellegrino con le stampelle che abbiamo appena superato, avrà non poche difficolta ad attraversalo.
Senza pensarci due volte cominciamo a rendere il passaggio più agevole spostando e portando diverse grosse pietre.
Non si è pellegrini da soli, si è con gli altri.
Questi luoghi non  hanno richiesto soste frequenti, ma di foto ne sto facendo davvero tante.
L’ultima ritrae il Puente de la Rabia sul rio Arga a Zubiri, dove decidiamo di fermarci per pernottare presso il rifugio municipale.


Buen Camino, la tappa che ci aspetta è sempre di montagna, siamo nella Navarra con boschi di abeti, roveri e pini dove ho scelto il mio bastone.
La camminata di oggi è molto piacevole, e si arriverà a Pamplona capitale della Navarra.
Attraversando il ponte medievale della Maddalena percepisco qualcosa di diverso: provo una piacevole sensazione nell’entrare in una grande città moderna con il bastone da pellegrino.


Attendere i semafori verdi per poter attraversare e riprendere il cammino è qualcosa di insolito.
Siamo in pieno centro storico, la parte vecchia fatta di strette viuzze che girano intorno a bellissimi edifici di stile gotic come la cattedrale.
La città è piena di gente, soprattutto turisti.
Piccola sosta in un centro commerciale per acquistare il cappello, in sostituzione di quello dimenticato in un bar da Thomas e, prima di tornare in albergo, ci immergiamo di nuovo tra strade, negozi in cerca di un ristorante.
Si passa la notte nell’albergue municipale Jesus y Maria vicinissimo alla cattedrale di Santa Maria la Reale.

Buen Camino, oggi ci sarà da camminare sotto un cielo che non è chiaro da subito, ma pieno di nuvole in movimento.
Ho iniziato a prendermi cura di quelli che camminano con me, di  quelli che incrocio, di quelli che arrivano dopo di me anche se non li conoscerò mai, così come altri che mi hanno preceduto e che hanno avuto cura di me anche solo con un cenno di saluto.
Quando ci  salutiamo tra pellegrini augurandoci buen "camino" questo mi fa pensare ai pellegrini del medioevo dove il paesaggio si presentava non sicuro ma pericoloso, vuoi per gli animali selvatici ma soprattutto perché era il nascondiglio di banditi che non ci pensavano due volte ad aggredire i pellegrini per appropriarsi dei loro pochi averi.

Oggi invece ciò avviene in un ambiente conviviale e circondati da moltissimi pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo.
Arrampicata sull’"Alto del Perdon" dove la vista è indimenticabile anche se la giornata non è delle migliori e rivolgendo lo sguardo dietro vedo la strada fatta fino a qui, con i Pirenei in lontananza.
Le fredde figure metalliche del monumento al pellegrino sembrano muoversi a causa del forte vento.
Una ripida e sassosa discesa mi aspetta prima di arrivare a Puente la Reina, dove si congiungono il Camino Francese e quello Aragonese, e qui pernotterò nel Rifugio gestito dai padri Reparadores.
 
Buen Camino, la strada è bella, il paesaggio stupendo e si vedono tanti di quei posti che raccontarli tutti in poche righe è impossibile.
Mi sento bene e il tempo sembra essersi fermato.
Percorrendo  alcuni tratti dell’antica strada costruita dai Romani, non c’è sensazione più bella che sentirsi sulla strada giusta, ma il ponte romano che attraverso in aperta campagna poco dopo Chirauqui ha qualcosa di speciale, il tracciato in questo tratto è antico, ben più di mille anni, e li dimostra tutti compresi i terrazzamenti e i muri di sostegno.
Si percorre anche uno stupendo territorio ricco di vigneti e si arriva a Estella nel tardo pomeriggio, poco dopo aver passato il ponte sul rio Elga, dove pernotterò nell’albergue municipale.
Spesso durante il cammino si incontrano canali di irrigazione e fiumi ed ogni occasione è buona per dare sollievo ai piedi, immergendoli nell’acqua fresca.
Buen Camino, lascio l’albergue municipale e i suoi volontari, compro del pane ed esco dalla porta della città dalla quale passano da secoli i pellegrini e dopo una breve salita trovo il posto più conviviale del Camino: la fontana del monastero di Irachi, dove vi è vino gratis per tutti.
Sono sempre in compagnia di Thomas che  alle sei e mezzo del mattino mi offre mezzo panino e un bicchiere di vino rosso.
Proseguiamo con più forza e vitalità, facendo però molta attenzione al posizionamento delle frecce gialle  per non sbagliare percorso.
Abbiamo camminato per diversi chilometri  in mezzo a campi di grano dolcemente ondulati senza incontrare nulla, in totale solitudine, ed accompagnarci c’erano soltanto il rumore dei nostri passi e dei nostri bastoni.
A Villamayor de Monjardin nella chiesa romanica di San Andres ho potuto ammirare una croce processionale in argento, e alcune piccole statue in legno raffiguranti i Santi, in particolare mi ha colpito quella raffigurante la Madonna nell’atto di tenere sulle ginocchia Gesù.
Purtroppo come riferitomi dal custode che ci ha aperto la chiesa, il Bambino è stato rubato.
Sto percorrendo l’ultimo tratto di Navarra, dove si vedono cumuli di paglia a formare dei grandi parallelepipedi.
Giunti a Los Arcos e trovato l’albergo, ci sistemiamo in una stanza con quattro letti a castello.
 
Buen Camino, siamo in prossimità degli avamposti della Rioja, con i vigneti che prendono sempre più campo, questo tratto è un continuo saliscendi ed è soprannominato rompipernias (spaccagambe).
Inoltre scarseggiano i posti dove trovare acqua e cibo.
Il Camino passa accanto ad un cimitero dove all’ingresso mi ha colpito una trascrizione incisa con i seguenti versi” Yo que fui lo que tu eres.Tu seras lo que soy yo”.
Nel piccolo villagio di Torres del Rio ho ammirato la chiesa romanica del Santo Sepolcro di forma ottagonale con all’interno una cupola a forma di croce a otto lati. 
Sull’alto de Poyo in prossimità dell’eremo della Virgen del Poyo ho percepito che la capacità di amicizia è incondizionata verso tutti.
Ho incontrato tanti pellegrini lungo il camino, ma un gruppo di Brasiliani con la loro allegria e  cordialità mi hanno reso il resto della giornata piacevolmente gradevole.
Con l’ingresso nella cittadina di Viana, alla ricerca del rifugio municipale Andres Munoz  situato a lato della chiesa di San Pedro, la stanchezza si fa sentire.
Dopo la registrazione dei nostri dati, timbro sulla credenziale col l’assegnazione dei posti letto, io al piano superiore e Thomas a quello inferiore, fatta la doccia ci rechiamo nel locale cucina dove socializziamo immediatamente con una ragazza  proveniente dalla Corea del Sud e due dal Giappone che parlano l’inglese correttamente, mentre io a stento.
E' come se ci coscessimo da una vita, sembra un pò una pizzate tra ex compagni di classe che si rivedono dopo tanto tempo.
La stanchezza passa in secondo piano e tutti insieme decidiamo di uscire per comprare una torta e una bottiglia di vino dolce, ritornare in albergue e festeggiare.
Buen Camino, lasciando Viana il Cammino corre a fianco dell’autostrada e si attraversa per mezzo di un’artistico sottopasso le cui pareti sono dipinte da murales che rappresentano i vari mezzi per arrivare a Santiago anche dal cielo come E.T.
Il viaggio in questo tratto attraversa uliveti e vigneti, siamo in una nuova regione La Rioja, lungo la discesa che porta a Logrono è d’obbligo la sosta da “Felicia”, in realtà dalla figlia Maria perché Felicia è morta nel duemilaedue.
Prendo una concha da un grande cesto lasciando un’offerta, l’attacco all’esterno del mio zaino, bevo un caffè, timbro sulla credenziale, un sorriso e  riparto.
Le acque del fiume Ebro mi accompagnano dentro la città di Logrono, un modello diverso di concha, e frecce di colore giallo riprendono a segnalare il camino fino all’altra estrema periferia.
Il paesaggio cambia di nuovo, diventa gradevole con pianure e valli intensamente coltivate, le mie gambe e anche le spalle reggono bene il peso dello zaino, arrivo e pernotto nell’albergue municipale di Navarrete.
 
Buen Camino, sto camminando in compagnia di Thomas, il cielo è senza nuvole e l’aria tiepida.
Grandi rettilinei di campi colorati si estendono per chilometri, vitigni non più alti di un metro con le prime gemme, qui sembra che tutto cresca rigoglioso e il panorama incanta.
Non incontriamo nessuno fino a Ventosa, poche strade bianche ci consentono di mantenere un buon passo e raggiungere e superare le due ragazze giapponesi.
Il dislivello più alto da superare prima di arrivare a Najera è l’"Alto de San Anton", un tratto poco più lungo di un chilometro, niente di particolare se non fosse per la presenza di sassi e pezzi di roccia liscie e scivolose.
Bisogna procedere facendo molta attenzione a dove si mettono i piedi, le caviglie sono uno dei beni più preziosi che abbiamo per il proseguo del cammino.
In questo tratto inoltre si incrocia la strada senza sottopassi pedonali o passerelle sopraelevate, per cui prestiamo la massima attenzione nell’attraversamento.
A Najera scopriamo i  primi nidi di cicogne, seguiamo la pista asfaltata che ci conduce dritta dritta ad Azofra.
All’albergue municipale ci viene assegnata una piccola cameretta a due letti, bella e pulita, di sicuro una delle migliori sistemazioni.
Doccia, bucato, giro per il piccolo paese e poi a cena in uno dei bar del paese con tavoli posti in strada in compagnia delle ragazze, che sono aumentate di numero: tre coreane e due giapponesi.
 
Buen Camino, il rumoreggiare dei pellegrini che si preparano alla partenza mi svegliano prima dell’accensione delle luci nelle camerate, così si parte presto, la luce è splendida, i paesaggi pure, ogni cosa che guardo è un soggetto fotografico irresistibile.
Mi piego sulle ginocchia in mezzo al sentiero per ritrarre delle lumache mentre attraversano la starda ai pellegrini quasi volessero farli rallentare.
Intorno a noi il paesaggio è lo stesso degli ultimi giorni, a parte qualche raro dislivello, il fondovalle che sto attraversando è pianeggiante e coltivato a viti e grano.
Effettuo una breve sosta all’ombra di balle di fieno secco, che emana un profumo di erba appena tagliata, e mi riporta indietro nel tempo.
Dopo una lieve salita si attraversa l’abitato di Ciruena, dove c’è un bel campo da golf e un bar dove sostiamo per fare colazione.
Arrivati a Granon, decidiamo di pernottare nell’albergue paroquial San Juan Bautista, rifugio molto bello soprattutto per l’accoglienza gestito da volontari.
Non c’è una quota da pagare, c’è solo una cassetta di legno senza coperchio per le offerte, e accanto un foglio con uno scritto: “Deja lo que puedas,toma lo que necesites”, inoltre un’albergo senza sello perché qui, quello che si timbra è il cuore.
Come hospitalero c’è un italiano, molto simpatico e disponibile che non esita a farmi visitare la torre campanaria qualche minuto prima delle cinque per sentire da vicino il suono delle campane, e vedere un panorama incredibile.
Offro il mio aiuto alla sua collega spagnola Patricia  per preparare la cena comunitaria, e così trovo davanti a me patate da sbucciare e carote da pelare, devo sistemare  i tavoli nella sala da pranzo che è bellissima e apparecchiare per trentadue persone.
A fine cena chi vuole può decidere di seguire Patricia in chiesa, attraverso una porticina che sbuca nel coro, dove appare in alto la navata deserta ma illuminata solo da un retabolo dorato e brillante. Alla luce delle candele e al calore della condivisione uno alla volta diciamo chi siamo, da dove veniamo, e le motivazioni che ci hanno portato a intraprendere un viaggio così lungo e faticoso, la preghiera in comune è in spagnolo ma tutti percepiscono soprattutto la dolcezza del tono.
 
Buen Camino, giornata limpida, fresca per tutta la mattina e il sole alle nostre spalle ci accompagna proiettando le nostre lunghissime ombre davanti a noi, un sole che illumina ma che non scalda ancora.
Sulla sommità di una collina un grande pannello segna l’entrata in Castiglia-Leon.
Che bello camminare senza premura, senza il pensiero di arrivare in tempo, lo leggo anche negli occhi di alcuni pellegrini che incrocio lungo la via.
Cerco di percorrere il mio cammino con la testa, prima che con le gambe, anche se sono portato a superare con facilità lo sforzo fisico.
Devo in continuazione cercare l’adattamento psichico, sto camminando in compagnia di tre ragazze coreane, di Thomas e Steve, e nessuno ha mai fatto percepire al resto del gruppo di voler essere lasciato solo, anzi il contrario.
Attraversando la cittadina di  Belorado ho notato la quasi totale mancanza di automobili, le strade pulite come pure l’aria che si respira, e si vedono alcune cicogne appollaiate sui nidi in cima al campanile della chiesa di Santa Maria.
Passo la notte a Tosantos nel rifugio parrocchiale San Francisco de Asis, luogo molto semplice ed essenziale, accogliente come quello di Granon.
Un’esperienza straordinaria, per molti aspetti indescrivibile.
Struttura spartana, atmosfera familiare e, spiritualità ovunque, tetto, cena, e colazione senza chiedere un’euro.
Dopo cena un’orazione particolarissima, letta ciascuno nella propria lingua, poi tutti a dormire sul pavimento insieme nelle varie camerate dove si trovano una decina di materassini, simili a quelli che si usano comunemente nelle palestre.  
 
Buen Camino, la mattina, ancora una volta, è fresca e soleggiata, così insieme ai miei compagni ci avviamo di buona lena ad affrontare il sentiero che in questo tratto è una salita abbastanza impegnativa, tuttavia meno dura di quello che sembrava inizialmente, grazie all’allenamento dei giorni precedenti raggiungendo così una forma fisica ottimale.
Il Cammino è in mezzo alla natura con lunghi tratti di boschi affascinanti, soprattutto nella salita verso l’alto de la Pedraja.
Breve visita al santuario di San Juan de Ortega, isolato in mezzo ai boschi dei Montes de Oca.
Al suo interno un capitello romanico dove si può ammirare l’annunciazione a Maria che è legato al fenomeno qui chiamato il “miracolo della luce”.
Il capitello viene infatti illuminato direttamente dal sole nei giorni dell’equinozio.
Arriviamo ad Ages solo verso le sette, scegliamo "El Pajar de Ages", un albergue con Wi Fi.
Si chiacchiera a lungo prima di andare a letto, il clima diventa fantastico e coinvolgente, il mio inglese è davvero arruginito, ma seppure stanco sono sempre sereno e contento.
 
Buen Camino, partenza su strada asfaltata, la sola cosa da fare è andare, camminare senza misurare il tempo, difficile da raccontare.
Tutto sommato tutte le giornate di Camino sono andate bene, più facili del previsto ma penso sia solo una questione di aspettative.
Tutti descrivono diversi tratti come “impegnativi” quando non è nulla di più di una tranquilla passeggiata di salute.
In circa mezz’ora arriviamo sull’alto de Atapuerca  e dal colle si vede l’estesa valle di Riopico, la città di Burgos, patrimonio dell’Unescu.
Il caos cittadino, camminare di fianco ad un aereoporto e cinque chilometri di zona industriale mi complicano le cose, chiediamo informazioni per la cattedrale dove nelle vicinanze c’è la cosiddetta Casa del Cubo, un moderno ed efficiente albergue municipale per pellegrini.
Un passante ci spiega come arrivare all’albergue, dopo aver fatto una doccia e il bucato e gli acquisti per la colazione, ci rechiamo a visitare la cattedrale con interni rinascimentali e barocchi dove sono conserevate le spoglie di El Cid Campeador.
 
Buen Camino, ormai ho preso un ritmo costante.
Al mattino sveglia alle cinque e mezzzo, in bagno per l’igiene personale, si completa lo zaino, ci si mette gli scarponi  fuori dalle camerate, si fa colazione e alle sei, sei e mezzo si parte.
Dopo un’oretta appare un bel sole e via via che mi allontano da Burgos intravedo un paesaggio lineare.
Le valli, le colline e l’immense montagne dei Pirenei sono un ricordo, sono nelle mesetas, termine che in spagnolo significa altopiani.
Sono spazi dall’aspetto desertico, lievemente ondulati separati da tranquille valli dove il giallo e l’azzurro separano la terra dal cielo e sono i colori dominanti.
Attraversando questi luoghi senza vedere nulla all’orizzonte provo un senso di incredibile libertà e cerco di dare un senso a quello che sto facendo.
Il sole non mi dà tregua, non c’è un solo albero per avere un pò d’ombra, l’unico refrigerio è l’acqua che bevo a piccoli sorsi con più frequenza.
Superato un declivio ecco apparire Ontanas, nascosto in una buca di questa piana infinita, un minuscolo villagio tenuto in vita dal Camino di Santiago.
 
Buen Camino, oggi ci aspetta una tappa di una ventina di chilometri che si svolgerà prevalentemente su terra battuta in una piana infinita fino a Itero della Vega.
Dopo un’ora abbondante di cammino il sole che sorge alle mie spalle piano piano proietta la mia ombra nel nulla che ho d’avanti.
Cammino da quindici giorni e, tenuto conto che ho già percorso trecentoquaranta chilometri, posso ritenermi soddisfatto ma, in prossimita delle “Ruinas del Convento de San Anton” il mio compagno Thomas comincia ad avvertire dolori alla caviglia.
Personalmente comincio a convincermi che la cifra veramente esosa, sborsata per calze e scarponi, probabilmente è ripagata dall’ottima qualità dei prodotti che mi ritrovo ai piedi.
L’andatura è lentissima e tra riflessioni e commenti sulla causa del dolore facciamo sosta prima in un bar dove incontriamo le ragazze coreane e poco dopo ci troviamo in un albergue dove Thomas decide di fermarsi per rimettersi in sesto e poi proseguire col  il bus per ricongiungerci.
Nel riprendere il cammino fisicamente sto bene, è il morale che manca e nella mia testa solo confusione e angoscia per i problemi al piede di Thomas.
L’assenza del mio compagno di viaggio mi deprime, non riesco a immaginare quando potrò rivederlo.
Arrivato al finale di tappa a Itero della Vega sul letto dell’albergue municipale con la stanchezza che mi travolge faccio mille congetture e mi addormento.
 
Buen Camino, partenza alle prime luci del nuovo giorno, dopo una colazione a base di frutta.
E' la domenica di Pasqua e piove, il percorso segue un sentiero pedonale parallelo alla strada asfaltata, con un paesaggio piatto e invariato. Hyun Ji Kim la più giovane delle ragazze Coreane riceve una telefonata che annuncia la morte della nonna.
Molto affranta decide di proseguire sola restando distante dal gruppo.
Dopo tre ore di cammino sotto la pioggia costeggiamo il Canal de Castilla, una grande opera di ingegneria costruita per l’irrigazione dei campi dove si vedono molte lumache dobbiamo così stare attenti a non calpestarle; siamo in quattro a proseguire ma Kim ha altro a cui pensare.
Mancano cinque chilometri alla prossima località, troppi con i pensieri che diventano sempre più pesanti e la pioggia che diviene un’autentico diluvio.
Quando arrivo a Villalcazar de Sirga sono bagnato e sensibilmente svuotato, la perturbazione sembra passata e il tempo sta migliorando, quindi  non dovrebbe piovere per qualche giorno.
Dopo aver fatto la doccia, lavato i panni e la spesa per la colazione è stata la volta della visita alla chiesa di Santa Maria la Blanca, uno dei tanti luoghi importanti del cammino.
Qui si venera la statua di una vergine bianca a cui si attribuiscono poteri sovrannaturali.
Anticamente si narra che molti pellegrini, che erano stati a Compostela invano, qui siano stati invece guariti dalla loro infermità.
In albergue dopo aver cenato si asciugano i panni bagnati dalla tanta pioggia presa e si va poi a dormire, metto i tappi nelle orecchie per non sentire i russatori.
 
Buen Camino, dopo la colazione a base di frutta fresca e secca, partenza per la diciassettesima tappa.
Oggi mi aspetta il “deserto” un tratto ininterrotto di nulla fino a Carrion de los Condes e poi ancora fino a Calzadilla de la Cuenza.
Anche questi tratti privi di monumenti o richiami particolari hanno un loro fascino e una loro bellezza, il tracciato è quello originale mediovale.
Devo percorrere appena cinque chilometri per arrivare a Carrion de los Condes dove c’è Thomas ad aspettarmi.
Eccolo, in piazza in prossimità di un bar ad aspettarmi per offrirmi la seconda colazione, la caviglia è ancora dolorante e il suo cammino può continuare solo per mezzo del bus, ci riabbracciamo e, salutandoci, ci diamo appuntamento ad Astorga.
Mentre mi allontano mi affiora nella memoria l’espressione del suo volto rassegnato, procedo velocemente per cercare di farmi passare l’angoscia, sono triste ma penso anche ai bei momenti passati con lui.
E ora sono qui poco oltre la metà della strada che mi conduce a Santiago de Compostela e tutto mi sembra irreale, il Camino mi sta trasformando.
Calzadilla de la Cuenza come tutti i paese delle Mesetas, appare all’improvviso sorgendo da un declivio nella pianura.
Strade pulite, solo alcune  automobili e aria pulitissima, una cicogna appollaita su un nido in cima a un traliccio della corrente elettrica, ne è la prova.
C’è poco da vedere in questo luogo, l’interesse principale dei pellegrini, oggi un pò diversi in verità, è lo starsene sdraiati sui letti a riposare.
Quanta diversità, ognuno sembra portare con sé il segreto del suo Cammino.
Dopo tanti giorni finalmente sento parlare Italiano, mi avvicino a due ragazzi che mi dicono essere di Bergamo uno dei due mi regala un libro sul Camino scritto da un famoso scrittore Brasiliano.
Credo che il dono sia stato un’atto di generosità e non per alleggerire il suo zaino.
Per me è stato in ogni caso un gradito pensiero, ho letto il libro nei restanti giorni del Camino e portato a casa come ricordo.
Sul Camino avvengono incontri unici, ed è incredibile la facilità con cui, dopo poco tempo, si possa instaurare un rapporto di convivialità con persone mai viste prima e proveniente da tutte le parti del mondo.
Oggi è Pasquetta, niente messa, la celebrazione avviene al mattino presto.
 
Buen Camino, mi sveglio presto e riposato.
Il nuovo giorno inizia con una sorpresa, mi ritrovo a fare colazione in compagnia della sola Kim perchè le altre ragazze sono partite prestissimo.
Il cielo è parzialmente coperto, parliamo poco ed è il silenzio l’unico rumore che ci circonda.
Oggi faranno i funerali di mio cugino Antonio, con lui perdo un fratello maggiore che non ho avuto.  
Il ritmo è buono e i chilometri si succedono con facilità e il passo, che pareva tranquillo e constante, con sorpesa si rileva una buona andatura portando la media a quattro chilometri e mezzo all’ora. Anche gli altri pellegrini che incontriamo hanno un passo sostenuto e un pò tutti  a turno ci alterniamo alla testa della fila che man mano si và formando.
Tutti nella stessa direzione a seguire le freccie gialle, ognuno con i suoi pensieri senza che li divida l’abito, la condizione, la nazionalità, e tutti poi a pensare “forse” come sarebbe bello un mondo vissuto su questi valori e la melodia scritta da uno dei Beatles mi ritorna in mente.
Dopo dieci chilometri arriviamo a Terradillos de Templarios centro abitato con non più di dieci case, dove nulla resta dell’antica roccaforte, solo il nome ne conserva la memoria.
Davanti ai miei piedi ci sono altri undici interminabili chilometri di pianura senza fine, per arrivare a Sahagun, il centro geografico del Cammino Francese.
Un paio di chilometri di periferia tra la zona industriale e la ferrovia, poi il centro della città  dove il colpo d’occhio è impressionante non tanto per la sua bellezza, quanto per il numero  di chiese.
Nell’antica chiesa della Trinidad c’è l’albergue municipale de Peregrinos Cluny che però d’inverno chiude e al suo posto viene aperto un albergue più piccolo e ne vedi il cartello affisso fuori dal portone.
 
Buen Camino, stamane partenza più tardi del solito, passando prima sotto l’arco di san Benito in stile barocco e attraversando poi il rio Crea sopra il ponte di pietra “puente Canto” lascio definitivamente la città.
Dopo un’ora di Camino lungo un sentiero parallelo alla Statale c’é un cippo di pietra che segnala una direzione alternativa che porta a Calzadilla de los Hermanillos.
Proseguiamo senza tenerne conto seguendo il Camino principale in direzione di El Burgo Ranero, l’antico Cammino convertito in un sentiero alberato tutto in piano che ci accompagherà per oltre trenta chilometri ma, gli alberi ancora giovani proiettano poca ombra.
L’altro Camino segue l’antica strada romana “calzada romana” e passa per altri paesi.
Dopo un’ora e mezza di Cammino entriamo nel paesino di Bercianos del Real Camino
E' curioso e interessante per le case fatte di mattoni di argilla e paglia.
La pista alberata prosegue monotona e piatta fino a El Burgo Ranero, ed arriviamo al rifugio Domenico Laffi gestito dall’associazione Amici del Camino di Leon.
Era, arrivata l’ora della cena e ci avviamo in cerca di un ristorante dove ordiniamo il "menù del dia".
Quando torniamo in camerata qualche pellegrino si è già addormentato avvolto nel sacco a pelo, altri si apprestano alle ultime imcombenze: massaggiarsi i piedi, controllare il contenuto dello zaino, qualche parola appena sussurata al vicino, andirivieni con il bagno tutto in un rigoroso silenzio.
 
Buen Camino, alla partenza dal rifugio lasciamo un’offerta, scriviamo un pensiero tra le pagini dell’agenda, controlliamo che non ci dimentichiamo nulla e proseguiamo.
Da El Burgo Ranero a Religos, il primo paese che incontriamo, ci sono tredici chilometri attraverso la pianura che da giorni percorriamo.
L’unica variante di questo Camino in piano è, una ferrovia che attraversiamo dopo una decina di chilometri.
Camminiamo in solitudine e monotonia accanto al sentiero alberato, in un paesaggio sostanzialmente uniforme, il sole è sempre alle nostre spalle e la nostra ombra è proiettata davati a noi, lunga e sottile.
Giunti a Reliegos dopo tre ero e mezzo di Cammino scorgiamo in  lontananza un’edificio azzurro con decine di disegni e scritte, tra cui spicca Bar Elvis con due finestre murate ma dipinte con due occhi.
Decidiamo di fermarci in questo bar molto particolare dove le pareti sono piene di scritte fatte da mani provenienti da tutto il mondo, bandiere di ogni nazione, tra cui la più colorata risulta essere quella del Tibet.
Il proprietario si chiama Sinìn ci serve delle tortillas a buon mercato.
Proseguendo il cammino si arriva a Masilla de las Mulas nella valle del rio Esla dove  finisce il sentiero lineare e alberato, entriamo in città attraverso la porta sud e ammiriamo la grande muraglia che la delimita, secondo alcuni di fondazione romana.
Usciamo a nord passando sotto l’arco de san Agustin da cui si esce attraversando il grande, famoso ponte in pietra, dopo due ore e mezzo eccoci a Puente Villarente ma, prima del villaggio c’è da ammirare lo storico ponte sul rio Porma a venti arcate.
La tappa di oggi è stata programmata appositamente corta per arrivare presto a Leon e visitarla con più calma.
Seguendo le frecce gialle arriviamo in albergo dove dopo la solita registrazione e fatta la doccia, mi aspetta una bella sorpresa, vengo chiamato per nome da una voce a me familiare: Steve! Conosciuto a Los Arcos e perso di vista a Tosantos.
Alle dieci di sera si spengono le luci nelle camerate e questa è una delle regole per tutto il Cammino.
 
Buen Camino, questa mattina nessuno ha fatto lo zaino alle sei e mezzo di mattina come al solito, facendo rumori o accendendo torce poste sulla fronte.
Tutti abbiamo dormito di più, noi tre unici inquilini della grande camerata.
Prepariamo le nostre cose con la luce del giorno e non nella penombra della camerata come al solito, in una sequenza di movimenti ormai automatica.
Guardare fuori dalla finestra per dare uno sguardo al cielo e capire che tempo farà, ripiegare il sacco a pelo, dare una lavatina al viso e una passata di spazzolino ai denti, fare un rapido controllo che tutto sia all’interno dello zaino, andare nel posto dove hai lasciato gli scarponi li calzi e sei pronto per prendere il proseguo del Camino.
Usciti da Puente Villarete subito dopo un distributore di carburante, le frecce gialle indicano una svolta  a destra per seguire una strada bianca che evita il contatto diretto con la statale.
Superata Arcahueja  e Valdefuente si sale all’alto de Portillo, da dove in lontananza si intravede Leon e le guglie della cattedrale.
Arrivati in città scopro che di frecce gialle non c’è ne sono, ci sono invece delle conchiglie di metallo molto belle incastonate nella pavimentazione.
Dopo aver camminato per il centro storico finalmente in prossimità della bella Plaza de Santa Maria del Camino con tanto di fontana al centro, c’è il Monasterio de las  Benedictinas (Carbajalas) dedicato alla madonna Assunta con annesso l’albergue.
Ci accoglie una sorridente ragazza Italiana, l’alberque è diviso in due sezioni, maschile e femminile, le camerate sono enormi e zeppe di letti a castello ma, si respira un’atmosfera di grande serenità.
Vado a visitare sotto la pioggia il centro di Leon, ma soprattutto la sua bellissima cattedrale, alle diciannove in punto mi reco nella chiesa del monastero dove, le suore arrivano silenziosamente e prendono posto nel coro davanti  all’altare.
Le voci delle suore così dolci mi riempiono l’animo di emozioni ed è la funzione religiosa più spirituale a cui abbia mai assistito.
La serata trascorre piacevole ai tavoli dell’albergue, si cena a base di zuppa di legumi scaldata nel microonde.
Buen Camino, il Cammino non è mai monotono il tempo cambia ogno giorno, usciamo dall’albergue  poco prima delle sette e trenta sotto la pioggia che ci allontana gli uni dagli altri, seguiamo le conchiglie murate nel pavè delle strade che ci guidano lungo una città ancora addormentata.
Transitando di fronte alla cattedrale ancora chiusa, intravedo sotto i portici poche persone.
Camminare sotto la pioggia può essere gratificante anche se costretto al silenzio ma sento di farcela anche in queste condizioni.
Lascio dietro alle mie spalle i grigi edifici desolanti della periferia e ritorno a percorrer nella loro selvaggia bellezza i grandi spazi delle mesetas.
Dopo tre ore di cammino passo dopo passo la pioggia aumentata proporzionalmente ai chilometri percorsi e tutto diventa più difficile, condiziona anche la scelta da fare davanti al cartello all’uscita del paese La Virgen del Camino dove c’è la possibilità di intraprendere un percorso alternativo a quello principale per giungere a Hospital de Orbigo.
Per alcuni tratti procedo solo e penso ai diversi aspetti poco simpatici del mio carattere con cui devo confrontarmi,  a volte non so spiegarmi alcuni scatti umorali improvvisi che mi rendono irragionevole, o quelle stupide parole che non vorrei aver detto e comportamenti che ne derivano.
Forse senza saperlo tra le molteplici ragioni per cui sono partito c’è anche questa e prego affinchè possa ricevere un aiuto per smussare gli spigoli poco piacevoli della mia indole.
Giunti  a Villadangos del Paramo entro nel primo bar, dove al caldo trovo un gruppo di pellegrini incontrati in precedenza e mentre gli indumenti cominciano ad asciugarsi ordino da mangiare.
Dopo mezzora la pioggia smette, si riparte asciutti ed è una bella sensazione.
Manca un’ora di Cammino per arrivare alla meta San Martin del Camino.
 
Buen Camino, usciamo dall’albergue all’alba sotto un cielo azzurro, l’aria è di un freddo pungente che mi congela le mani, più avanti un cartello elettronico di un negozio indica la temperatura di un grado, sono tentato di mettermi qualcosa di pesante ma, un po per non aver voglia di fermarmi proseguo aspettando che l’aria si scaldi.
Il sentiero viaggia parallelo alla statale, in prossimità di Ospital de Orbigo all’altezza di un grande serbatoio d’acqua incrociamo i pellegrini provenienti dal perecorso alternativo, quello di La Virgen del Camino.
Dopo tre ore di Camino nell’attraversare il puente de Paso Honroso sul rio Orbigo un ponte a diciannove archi, vedo sul pennello ghiaioso parzialmente immerso con gli stivali nell’acqua un pescatore di trote, ed è stato come rivedermi in Val d’Aveto.
Appena fuori dal paese decidiamo di scegliere il sentiero parallelo alla statale e non il sentiero campestre che sembra allunghi il percorso fino a San Justo de la Vega.
Dopo quattro ore di Cammino attraversiamo il ponte sul rio Tuerto è intravediamo in lontananza una collina alla cui sommità c’è l’antica Asturica Augusta, l’attuale Astorga meta della nostra tappa.
Nel centro città incontriamo molti turisti, e quasi all’ingresso dell’albergue de peregrinos Siervas de Maria dove siamo diretti ritroviamo Thomas, poi all’interno una ragazza coreana che ci viene incontro felicissima di vederci.
E' sempre bello ritrovare le persone con cui hai condiviso parte del Cammino.
Thomas non è più in grado di continuare, ci abbracciamo affettuosamente facendo finta di non provare tristezza da entrambi le parti, poi prendiamo possesso dei posti letti  che ci avevano riservato per stare insieme nella stessa camerata.
Tutti insieme, con  Steve e le due ragazze coreane compagni di Cammino ormai da giorni visitiamo la città e una meson bar dove Thomas offre da bere a tutti. 

Buen Camino, un’ultimo sguardo alla stanza dopo aver raccolto le mie cose e averle stivate ordinatamente nello zaino, un saluto a Thomas e a Steve e mi avvio in compagnia delle ragazze.
Lasciamo le ultime case di Astorga e proseguiamo verso un paesaggio collinare con creste arrotondate e imbiancante dalla neve.
Attraversiamo piccoli paesi e villaggi con graziose case in pietra, incontriamo boschi in continui saliscendi dove l’altitudine e la solitudine mi fa respirare un’atmosfera di montagna, un silenzio irreale, rotto solo dall’armonioso cinquettio degli uccelli, ed è davvero un silenzio totale.
Dopo tre ore di Cammino attraversiamo Santa Catalina de Somoza, più oltre sul sentiero c’è una lapide con una croce di legno e un tumulo fatto di pietre.
E' per una pellegrina morta e mi domando per l’ennesima volta cosa spinge migliaia di persone provenienti da molto lontano, senza che siano necessariamente credenti o praticanti, a scegliere il Cammino di Compostela.
Anche lei ha ottenuto l’indulgenza e il perdono dei suoi peccati come dice la tradizione pur non completando il Camino.
Ci siamo, inizia la salita che dopo qualche curva porta a Rabanal del Camino, lasciamo il sentiero che affianca la strada asfaltata per un tracciato tra arbusti con a lato una recinzione in rete dove i pellegrini incastrano tra le maglie dei rami di legno a forma di croce.
Ce ne sono centinaia.
Sulla guida abbiamo scelto l’albergue El Gaucelmo, un po’ più lontano del municipale, ma storico, rustico e accogliente, gestito dalla confraternita inglese di Saint James.
Ci hanno offerto ospitalità con stile e gentilezza.
Più tardi nella notte, prima di addormentarmi penso che questa cosa meravigliosa stia davvero giungendo al termine.

Buen camino, dopo aver lasciato il delizioso alberque a Rabanal del Camino, dove hanno cercato di darci veramente il massimo sul piano dell’ospitalità e della simpatia, siamo arrivati  passando sotto un bellissimo arcobaleno alla Cruz de Hierro, il punto più alto dell’intero cammino dove si respira spiritualità sospesi nella nebbia.
C’è un rispettoso silenzio da parte di tutti i presenti nel compiere l’atto di depositare la propria pietra.
A turno si scende dalla sommità  per dar modo a tutti di avere una foto ricordo e i visi sono piene di emozioni. 
Sole, freddo, nebbia, un narciso, una viola, che ogni tanto fanno la loro comparsa ai bordi dei sentieri da capre, le “pallozas” case con il tetto di paglia e poi ancora tante pozze d’acqua stagnante colmi di girini di tutte le misure. 
Come per magia il tempo si rasserena e abbiamo potuto godere con lo sguardo il dislivello nella quale ci apprestavamo a penetrare, la discesa non è meglio della salita, o perlomeno richiede molta attenzione e una postura adeguata.
La discesa verso valle di dodici chilometri è durissima e sembra interminabile, con paesaggi mozzafiato aggira e costeggia più volte la strada asfaltata attraversando i piccoli paesi di El Acebo, Riego de Ambros fino ad arrivare al bel villaggio di Molinaseca con graziose e caratteristiche case, dove finalmente si conclude dopo cinque ore di Cammino la discesa e la tappa odierna.
Sono talmente stanco che avrei voglia di buttarmi sul materasso e dormire senza cena, ma bisogna massaggiare i piedi e sollecitare i muscoli indolenziti delle gambe, ungere le giunture.
Occorre mangiare bene per riprendere forza quando si conclude una tappa come quella di oggi, perché durante il Camino si mangia poco, anche se a più riprese.
Il sonno notturno è importante per prendere le forze, ma se nella camerata c’è qualcuno che russa tutto e compromesso è sarà difficile potersi addormentare e riposare completamente.

Buen Camino, partiamo alle otto con un cielo nuvoloso, l’aria fresca ci fa sentire bene e ci fa procedere spediti, la nostra meta è l’albergue municipale di Cacabellos, a ventitré chilometri da Molinaseca.
In due ore e mezzo arriviamo davanti alle imponenti mura del castello di Ponferrada, questa volta gli orari spagnoli fanno al caso mio così pure l’ingresso che è gratuito, giornata ideale per visitarlo mentre le mie compagne preferiscono proseguire.
L’ingresso del castello è preceduto dal fossato con sopra un ponte levatoio, seguono due grandi torrioni con merlature uniti da un arco e il portone che sembra disegnato apposta per un cartoon della Disney.
Così infatti deve essere il castello delle fiabe: esattamente con quel portone d’accesso, con quella merlatura, con la pianta quadrata e irregolare dell’edificio, il fossato e il ponte elevatoio.
Da solo riprendo il Camino quasi in completa solitudine, sono pochi i pellegrini che scorgo davanti a me e il loro procedere lento mi invita ad accellerare il passo come se mal volentieri sopporto qualcuno davanti a me.
La strada è ancora tanto lunga, duecento chilometri a Santiago di Compostela, chissà magari il Cammino ha in serbo per me qualcosa che ancora non ho scoperto.
Gli ultimi dieci chilometri sono stati davvero pesanti, camminati più con la testa che con le gambe, inoltre, è inutile mentire, risento ancora i tanti chilometri di discesa della tappa precedente.
Il percorso di ieri mi ha sfinito fisicamente mettendo a nudo tutte le mie problematiche corporali, ma il buon esito di questa impresa m’incoraggerà a organizzare il prossimo camino.
Poi, dopo più di un’ora tra vigneti e campi coltivati  d’un tratto, quando temi d’avere un miraggio da un momento all’altro, intravedi un campanile e allora ti rendi conto che sei arrivato, ti rendi conto che, anche per oggi, hai finito, sfoggi il tuo miglior sorriso mentre porgi la credenziale  di Pellegrino all’Ospidalero e sai per certo che domani ricominci a camminare e tanto ti basta.

Buen Cammino, Ho passato la notte nell’albergue municipale di Cacabellos all’uscita del paese costruito intorno alla chiesa/santuario della Virgen de las Angustias, dividendo la stanzetta da due posti letto con un ragazzo Giapponese.
Mi sveglio dopo una grande dormita e mi ritrovo a fare colazione da solo, molte delle persone che ho conosciuto e con cui ho percorso diversi tratti sono scomparsi così come erano comparsi.
Dopo la colazione a base di frutta fresca e secca, riparto sotto un cielo azzurro con temperatura di dieci gradi.
Il Cammino inizia sull’asfalto e costeggia la carrettera, all’uscita del paese un cartello indica duecentoventi chilometri a Santiago de Compostela.
Giunto a Villafranca del Bierzo visito la chiesa di Santiago e uno spendido giardino comunale.
Dopo aver superato un bel ponte e diversi paesini fino ad arrivare a Vega de Valcarce il sentiero è fatto di blocchi di cemento tipo New Jersey che incrocia di continuo l’autostrada sotto i suoi viadotti.
Arrivato a Las Herrerias ai piedi della salita che porta O Cebreiro il paesaggio è tutto cambiato, ora è totalmente verde e fresco con  tanti ruscelli di acqua sorgiva da cui spesso bevo.
Altri otto chilometri tutti in salita percorsi guardando dall’alto verso il basso un paesaggio meraviglioso.
Ce l’ho fatta dopo dieci ore di Cammino, una colazione e un gelato per pranzo ma se fossi arrivato anche solo qualche minuto più tardi non avrei trovato da dormire.
Dopo la doccia niente bucato, fatta la spesa per la cena e la prima colazione, in branda non riesco a prendere sonno a causa della tanta adrenalina ancora in circolo.
 
Buen Camino, sono stato svegliato da una tipa spagnola conosciuta nell’albergue di Cacabellos che ha voluto insistentemente farmi dono dei suoi bastoncini che ho accettato.
Dopo aver fatto colazione in alberque mi accorgo di essere l’ultimo a lasciarlo, fuori il panorama è di un bello che ti lascia senza fiato, ammiro lo spazio al di sopra della nebbia che è immobile nel fondovalle provando una dimensione da sogno fatta di visioni reali fotografate in modo indelebile dalla mia memoria.
La solitudine di questi ultimi giorni, in un certo senso mi ha reso più vigile e attento trasformando il mio modo di vedere quello che mi circonda, mentre il mio cuore elaborando silenziosamente ciò che mi accade attiva dei sentimenti interni che provvocano in me forti emozioni. 
Chiuso tra i miei pensieri, mi avvio contento perché il mio Cammino l’ho amato dal primo istante quando ho pensato di farlo e adesso rimarrà dentro di me.
Parto alle dieci e mezza con l’obiettivo di raggiungere Fonfria ad appena tredici chilometri da O Cebreiro.
Salgo senza probblemi sia l’alto di San Roque sia la salita all’Alto do Poio dove dopo quattro ore di Cammino mi fermo in un bar per mangiare un panino.
Sono in Galizia e un cippo di pietra mi ricorda la distanza per Santiago de Compostela centocinquantadue chilometri.
Il sentiero, ben segnalato taglia i boschi e le montagne, mantenendosi per buona parte al sole ed è davvero piacevole percorrerlo; sosto di frequente per scattare foto a ripetizione.
Camminando da solo, non ne ho avvertito il peso e con gli occhi, lo spirito pieni di entusiamo e felicità, anche oggi finalmente vedo qualcosa che assomiglia a un campanile ciò mi fa intuire che dopo nove ore di Cammino sono arrivato, anche per questa sera a casa, se casa si può definire la parte bassa o alta d’un letto a castello.
Dopo la doccia, il lavaggio e l’asciugatura dei panni, cena in albergue in un edificio poco distante, la cena squisita mi rimette in sesto e poco dopo mi infilo dentro il sacco a pelo, ho bisogno di dormire e sognare sempre.

Buon Camino, sta albeggiando quando esco dall’albergue dopo aver fatto una buona colazione, nel fare delle fotografie prima di lasciare il paese mi accorgo di un problema alle pile della macchina fotografica, vado in cerca di un negozio che trovo ma, l’orario di apertura affisso sulla porta non mi dà speranze, attendere più di un’ora e mezzo non mi è proprio possibile.
Mi incammino e dopo un paio di ore di Cammino in continua discesa finalmente intravedo Triacastela dove trovo tutti i negozi aperti.
Appena dopo l’uscita del paese mi trovo di fronte a una biforcazione dove un cippo di pietra indica a sinistra Samos e il suo monastero per raggiunge Anguiada a circa ventuno chilometri; a destra invece San Xil, questo è il percorso alternativo per raggiunge Anguiada dopo soli quattordici chilometri.
Prendo la discesa verso San Xil, questo è ritenuto il percorso antico e quindi tradizionale.
Appena superato il bivio attraversando il ponticello sul rio Oribio, affido il mio bordone alle sue acque che cullandolo lo allontanano dalla mia vista.
Passata la città di Triacastela si raggiunge una pianura molto bella con stradine di campagna delimitate spesso da muretti a secco e sui lati campi adibiti al pascolo di bestiame, molte case con orti, giardini e col proprio horreo per il granoturco, coltivato come alimento per il bestiame.
In corrispondenza di biforcazioni dei percorsi non mancano numerosi paletti con cartelli segnalatori che oltre la freccia, recano la figura del pellegrino munito di zaino e bastone, simili a tanti altri incontrati lungo tutto il Cammino, come pure tanti cippi in pietra tra cui l’ultimo incontrato che segnala centoventi chilometri a Santiano de Compostela.
Nel riprenere il sentiero ritrovo le ragazze Coreane, che mi guardano stupite chiedendomi che fine avessi fatto e come facevo ad essere già là, facciamo un pò di strada insieme con l’idea di ritrovarci nella cittadina di Sarria.
Ogni sera alla fine di una giornata di Cammino ho la riprova dell’influenza benefica che ha su di me il camminare, perché se pur stanco sono sempre sereno e contento, mentre mi sto rendendo conto che nel preparare lo zaino alla mattina qualcosa mi rallenta le operazioni e sempre più spesso sono uno degli ultimi a lasciare l’albergue.
Arrivo a Sarria dopo le cinque sotto un bel sole, l’albergue privato Don Alvaro, in calle Mayor che mi è stato indicato dalle ragazze è confortevole e ben tenuto.
 
Buen Camino, Questa mattina le mie compagne di viaggio sono partite prestissimo, col buio intorno alle sei, io ho continuato a dormire svegliandomi riposato e sereno, il sonno mi ha fatto proprio bene, nella camerata siamo rimasti in quattro.
Quando sono uscito dall’albergue nel chiarore del mattino, il cielo è pieno di nebbia e l’aria umida, il silenzio nella via in forte salita viene infranto dal rumore dei miei passi e da quelli che mi arrivano dietro le spalle.
E’una bolgia multicolore, sono famiglie di pellegrini che hanno appena iniziato il Cammino tutti con magliette stirate e scarponcini senza polvere ne fango.
I paesaggi variano in continuazione e si alternano fra loro: boschi di castagni smisurati, prati, pascoli, torrenti, ponti, numerosi saliscendi e piccoli paesi con i bar e i caffè che abbondano, con i loro tavolini colorati sulla via, come 51sul corso di una nostra cittadina del sud, aperti alle prime ore del giorno con molti servizi in più al pellegrino.
Dopo quasi un’ora di Cammino prima di arrivare a Barbadelo, che scorgo in alto su un colle davanti a me, mi fermo in un bar per un piccolo spuntino a base di frutta e comprare la solita bottiglia di acqua.
Dopo altre due ore di cammino in prossimita della località di Ferreiros do uno sguardo al cippo di pietra che avvisa che mancano cento chilometri a Santiago di Compostela e dopo averlo fotografato ho pensato che quello di oggi è il mio trentesimo giorno di Cammino.
Giro la testa guardo avanti e ricomincio a camminare e provo a fare una sorta di check mentale, le spalle non mi fanno male, le gambe, le ginocchia e le caviglie a ogni fine tappa hanno accusato qualcosa, ma è normale, non ho una sola vescica e Santiago de Compostela è a quattro giorni di Cammino.
Poco più avanti mentre mi accingo ad attraversare il rio Mino, mi accorgo che poco più avanti ci sono le ragazze Coreane, le raggiungo e insieme ci fermiamo a Portomarin nello stesso albergue dove, dopo aver cenato tutti insieme festeggiamo il compleanno di una di loro con una torta nata dal nulla: sei merendine, due cestini di fragole, panna spray e grissini per candele. 
Dopo essermi lavato i denti mi ritrovo finalmente sdraiato dentro il sacco a pelo sul letto e con lo sguardo fisso sulla rete del letto sovrastante prima di chiudere gli occhi mi ritorna in mente la domanda: dove sono gli altri che ho conosciuto lungo il Cammino. 

Buen Camino, quando esco dall’albergue c’è silenzio, dopo pochi chilometri di marcia mi accorgo che non basta quello che ho mangiato come colazione in albergue e come al solito ho fame così mangio il contenuto di tutta una bustina di frutta secca.
Parlo con una coppia americana, capisco che sono partiti solo da due giorni da Sarria perché sono riposati freschi e con le scarpe pulite, mentre noi pellegrini di lunga distanza invece ci riconosciamo subito: viso tirato e abbronzato, capelli scompigliati, scarponi impolverati ma soprattutto uno zaino più capiente.
Giungo velocemente a Gonzar che dista otto chilometri dalla partenza e mi fa ridere pensare che ormai cinque o otto chilometri da percorrere sono uno scherzo per me.
Al bar incontro le ragazze che mi presentano a padre e figlia anche loro coreani, non trovo niente da mangiare che ispiri fiducia o che non sia stato sorvolato dalle mosche perciò bevo un succo d’arancia, metto un paio di banane nello zaiono e via!
Oggi volevo fare una tappa un po’ più lunga ma ho desistito per non ritrovarmi da solo, così facendo ho parlato con la ragazza appena conosciuta che parla molto bene anche lo spagnolo, una ragazza serena e cordiale che mi ha rallegrato il Camino anche durante una lunga salita dove raggiungiamo altri pellegrini conosciuti la sera prima.
Con semplicità il clima tra di noi diventa familiare, sono tutti molto simpatici.
Ogni pellegrino porta con sé la sua motivazione, tutte diverse: amore per la natura, per sport, motivi religiosi e di spiritualità, bisogno di evasione, devozione, mantenere una promessa fatta, bisogno di silenzio per poter trovare risposte o semplicemente per ripetere una esperienza già fatta.
Durante il Camino c’è tempo per stare soli, tempo per camminare con gli altri, tempo per stare in silenzio, tempo per parlare, tempo per  confidarsi e tempo per ascoltare confidenze, tempo per incoraggiare e tempo per ricevere sostegno.
Cammina cammina arriviamo in prossimità di un giardino pubblico dove non credo a quello che vedono i miei occhi, un banchetto pieno di lecornie: banane, mele, fichi secchi, uva passa, noci, nocciole, biscotti fatti a mano, diverse torte e tanto altro da consumare lasciando una libera offerta, naturalmente ne approfitto.
Arriviamo all’albergue dove tutti insieme andiamo a cenare nell’apposito locale mangiando quanto acquistato al supermercato, poca spesa tanta resa, la cucina asiatica mi piace proprio.
Ho capito che serve poco, pochissimo, quasi niente per andare avanti, il resto e pesantezza nello stomaco che si aggiunge al peso che già porti sulle spalle.

Buen Camino, la colazione e poi via  da Palas de Rei.
Il camminare non è una fuga ma uno strumento per mettersi in ricerca, per misurarsi con i propri desideri, con le prove da affrontare per cercare i propri limiti e da lì passo dopo passo verrà una nuova esperienza di condivisione che potrà diventare un racconto, con poco: uno zaino e le scarpe giuste.
Il paesaggio inizia a cambiare seguendo prima la statale e poi un sentiero che porta a San Xiao do Camino.
E’ incredibile, ma più mi avvicino a Santiago de Compostela, più penso con tristezza quasi con terrore al momento in cui finirà, e tornerò alla vita di tutti i giorni.
Comunque sia, sono certo che mi resterà addosso per un bel po’.
Sarà difficile scordarsi tanta umanità, gli straordinari scenari che la Spagna mi ha regalato e tutte le persone che ho incontrato, con le quali ho stretto rapporti molto belli, unici, pur sapendo che ognuno di noi lascerà andare gli altri al proprio paese, al suo luogo, alle proprie origini, alle proprie famiglie, il distacco sarà difficile ma anche inevitabile.
La campana suona mezzogiorno mentre mi avvicino alla chiesa di Melide.
Sono in marcia da quattro ore e le mie gambe hanno percorso quindici chilometri e ne mancano ancora dodici da percorrere per arrivare a Ribadiso.
Superata la cittadina di Melide ho attraversato un bosco di eucalipti e felci dal profumo inebriante, una magia durata solo pochi minuti che nessuna tecnologia è in grado di riprodurre.
Sono stanco ma non è stanchezza fisica o mentale; è semplicemente una stanchezza da Camino
che solo in pochi potranno capire e ho tanta fame.
Decido allora di fermarmi a mangiare un piatto di insalata e un piatto di riso con verdure miste, molto buono!
Passate tre ore giungo a Ribadiso dopo aver percorso un paesaggio verde e ondulato con attraversamenti di ruscelli, fiumi e boschi, niente di difficile o di impegnativo ma con continui tratti di saliscendi.
Il rifugio è bello e piacevole, non è in una zona abitata ed è composto da antiche costruzioni in pietra in un prato in prossimità di un rio che scorre placido, dove è stato piacevole immergere i piedi nelle sue fresche acque.
Il pomeriggio scorre via tra fare il bucato a mano e stendere i panni che si asciugano rapidamente grazie alla bella giornata di sole e con tanta aria.
Alle ventidue rigorosamente tutti a letto, si spengono le luci, infilo la testa dentro al sacco e sono felice, felice dentro, dentro gli occhi, dentro il cuore, dentro i piedi, sono felice.
 
Buen Camino, faccio la colazione nel bar a fianco dell’albergue ordinando una tostadas che a mio dire è il modo più tradizionale di fare colazione ed è un’alternativa gustosa e salutare ad altri tipi di colazione a base di prodotti confezionati.
Si tratta di fette di baguette di pane casareccio tagliate per metà, tostate ed accompagnate di “ripieni” dolci o salati.
Sto per arrivare alla meta, quello di oggi è il penultimo giorno dei trentatre.
La soddisfazione per il quasi compimento del cammino si mescola con la malinconia per l’avventura che sta per terminare, l’ultima pietra miliare vista ieri segnava quaranta chilometri.
Il percorso di oggi non è particolarmente lungo solo ventidue chilometri con tanti  dislivelli contenuti e qualche salita con pendenza accentuata.
Querce e castagni cominciano a vedersi sempre di meno, al loro posto tanti gli eucalipti mentre attraverso tanti piccoli villaggi tutti simili gli uni agli altri.
Cammino da quasi due ore sotto un cielo che assume lentamente una colorazione azzurra, anche oggi è sereno.
La fame comincia a tormentarmi, raggiungo Bebedeiro e mi fermo a mangiare presso un bar affacciato sulla strada dove al suo interno noto parecchi commensali nella sala da pranzo.
Altre persone conversano con il bicchiere in mano ai tavolini o appoggiate al bancone, il gestore è indaffarato e mi tocca attendere non poco per ordinare da mangiare.
In queste ultime tappe ho completamente cambiato i compagni di cammino, per lo più vacanzieri  in una lunga e interminabile processione.
Certo comunque che il contorno che, al di fuori dell’ambito religioso, si respira in queste ultime tappe di cammino è quello meramente consumistico.
Superato il paese di Salceda mi fermo davanti a un piccolo monumento a ricordo di un pellegrino morto qui ad una giornata da Santiago.
Penso che il giorno seguente se tutto gli fosse andato bene sarebbe arrivato alla meta, si sarebbe potuto sedere nella piazza di fronte alla cattedrale ed essere orgoglioso di aver compiuto l’impresa.
Ma la vita a volte è crudele, all’ultimo momento quando sembra che tutto si possa compiere nel verso giusto qualcosa va storto e inevitabilmente la nostra esistenza viene sconvolta da tragici eventi.
Supero quasi di slancio parecchi pellegrini, anche in gruppi; molte sono ragazze giovani, mi stupisco della mia andatura notevolmente più veloce, come se avessi una marcia in più.
Forse era predestinazione ma con il mio procedere veloce ho raggiunto le mie compagne coreane sedute per una pausa di riposo e ristoro all’ombra al tavolo di un bar.
Mancano pochi chilometri all’albergue di Arca do Pino a Pedrouzo, dove terminerà la penultima tappa del mio cammino, e sono i più estenuanti.
Forse, sto abusando del mio fisico, ma a questo punto…

Buen camino, dopo una nottata di meritato riposo, vengo svegliato dalle mie compagne sistemate nei letti vicino al mio.
Subito mi rendo conto che parecchi pellegrini si sono già avviati verso Santiago prima di noi e la smania di arrivare alla meta è nell’aria che respiro.
Mi sento pervaso da una forza sconosciuta che mi aiuta e mi fa sentire leggero.
In breve mi trovo fuori sulla strada rischiarata a malapena dalle prime luci dell’alba, con direzione Pedrouzo, la strada è lungo la carretera fino a una svolta che immette in un bosco di eucalipti e le ragazze la rischiarano con le torce dei loro telefonini.
I trochi degli alberi sui lati sono presenze un po’ minacciose per le ragazze che si avvicinano sempre di più a me, mentre il rimbombare disordinato dei nostri passi sono una compagnia rassicurante per tutti nel silenzio misterioso del bosco.
Superiamo alcuni pellegrini salutandoli con il solito“ Buen camino” appena accennato che immediatamente vengono inghiottiti dall’oscurità alle nostre spalle con il loro ticchettio dei bastoncini che man mano dimunuisce in lontananza.
Usciti dal bosco per una sentiero di campagna arriviamo ad Amenal dove troviamo un bar aperto per la consueta colazione ipercalorica da parte delle ragazze che si ripete invariabilmente.
Proseguiamo camminando per una dura salita circondata dai soliti eucalipti e da una folta vegetazione che a volte crea veri e propri tunnel naturali.
I muscoli delle mie gambe cominciano a riscaldarsi e a tendersi per lo sforzo, le ragazze non mollano mi seguono come segugi.
Sudo abbondantemente e vado un po’ in affanno mentre supero altri pellegrini verso la parte terminale della salita, dove in lontananza comincio a sentire il frastuono degli aerei del vicino aereoporto.
La strada diventa pianeggiante, mi asciugo il sudore sulla fronte e percepisco che la maglietta è umida ma non è un problema perché ci perserà il sole che già splende in alto sulla mia testa ad asciugurla.
Superati i confini recintati dell’aereoporto scendiamo verso il paese di Lavacolla per poi salire a Vilamaior avvolti da una luminosità abbagliante.
Lungo la carretera che porta al Monte do Gozo e poi a Santiago procedo un po’ stanco, sul bordo della strada ci sono gli edifici delle sedi televisive galega e spagnola.
Quando giungo al Monte do Gozo, dove è situato il rifugio resto sconcertato per le dimensioni dell’albergue, non riesco a paragonarlo a nessuno di quelli incontrati finora.
In prossimità di un campeggio c’è un bar dove decidiamo di fermarci per magiare.
Ordino una buona zuppa di lenticchie.
Proseguiamo e, dopo una breve discesa, ci troviamo di fronte al cartello di Santiago che può rappresentare la fine o il proseguimento di qualcosa.
Chi andrà verso casa, chi verso Finis Terrae, altre quattro tappe per vedere quella che per tutta l’Europa fino alla scoperta delle Americhe era inequivocabilmente la fine del mondo: l’Oceano.
Non per me che ad oggi non avevo ancora fatto il biglietto di rientro, perché mi piaceva molto quel senso nomade senza l’ansia da ritorno.
Superiamo la Porta del Camino ed entriamo nelle stradine del centro storico, una delle ragazze decide di andare in cerca dell’indirizzo dell’ostel  indicato su un bigliettino.
Con un po’ di fortuna , troviamo la via nel centro storico a lato della piazza O Obradorio, a pochi minuti dalla cattedrale, è una bella sistemazione al primo piano di un piccolo stabile.
Usciamo dall’albergue e  andiamo al centro del pellegrino a ritirare la Compostella, dove in fila troviamo d’avanti a noi molti pellegrini.
Al cospetto del funzionario mi vengono poste diverse domande tra cui dove ho iniziato il Camino e perché l’ho fatto.
Perché l’ho fatto?
Bella domanda...
In meno di un’ora tutti abbiamo il nostro documento e ci incamminiamo verso la cattedrale dove c’è tantissima gente.
A Santiago ci si ritrova tutti, a Praza do Obradorio e nelle viuzze del centro storico si ritrovano persone incontrate giorni o settimane prima, si sta assieme, e stare insieme il giorno degli addii è importante, rende meno brusco il ritorno.
La sera, una cenetta in compagnia presso un locale poco distante dalla piazza, senza ne pretese, né clamori, un addio tra amici a cui non servono molte parole.
Domani ci saluteremo definitivamente e sarà per sempre.
Da parte mia, come mia abitudine, do spazio alla malinconia, così da farmi avvolgere da una struggente nostalgia di casa e di affetti cari.
Il Camino quello concluso sotto il cartello di Santiago è già archiviato nei ricordi, quelli che non si scordano.
 
                                                                    ***
 
Questo è stato il mio primo Camino, fatto di fatica, gioia e solitudine, ma anche di paesaggi stupendi e nuove amicizie che mi hanno fatto apprezzare di più le cose semplici ed essenziali.
Sono grato per questo a tutti gli amici che ho cosciuto, da Thomas, alle ragazze coreane, a chi mi ha consigliato prima della partenza e tanti altri senza nome che ho incontrato lungo il Camino.
Ed io?
Io mio auguro di avere sempre questo desiderio incontrollato di buttarmi ogni tanto lo zaino in spalla e partire per un altro Camino.