Il sentiero viaggia parallelo alla statale, in prossimità di Ospital de Orbigo all’altezza di un grande serbatoio d’acqua incrociamo i pellegrini provenienti dal perecorso alternativo, quello di La Virgen del Camino.
Dopo tre ore di Camino nell’attraversare il puente de Paso Honroso sul rio Orbigo un ponte a diciannove archi, vedo sul pennello ghiaioso parzialmente immerso con gli stivali nell’acqua un pescatore di trote, ed è stato come rivedermi in Val d’Aveto.
Appena fuori dal paese decidiamo di scegliere il sentiero parallelo alla statale e non il sentiero campestre che sembra allunghi il percorso fino a San Justo de la Vega.
Dopo quattro ore di Cammino attraversiamo il ponte sul rio Tuerto è intravediamo in lontananza una collina alla cui sommità c’è l’antica Asturica Augusta, l’attuale Astorga meta della nostra tappa.
Nel centro città incontriamo molti turisti, e quasi all’ingresso dell’albergue de peregrinos Siervas de Maria dove siamo diretti ritroviamo Thomas, poi all’interno una ragazza coreana che ci viene incontro felicissima di vederci.
E' sempre bello ritrovare le persone con cui hai condiviso parte del Cammino.
Thomas non è più in grado di continuare, ci abbracciamo affettuosamente facendo finta di non provare tristezza da entrambi le parti, poi prendiamo possesso dei posti letti che ci avevano riservato per stare insieme nella stessa camerata.
Tutti insieme, con Steve e le due ragazze coreane compagni di Cammino ormai da giorni visitiamo la città e una meson bar dove Thomas offre da bere a tutti.
Lasciamo le ultime case di Astorga e proseguiamo verso un paesaggio collinare con creste arrotondate e imbiancante dalla neve.
Attraversiamo piccoli paesi e villaggi con graziose case in pietra, incontriamo boschi in continui saliscendi dove l’altitudine e la solitudine mi fa respirare un’atmosfera di montagna, un silenzio irreale, rotto solo dall’armonioso cinquettio degli uccelli, ed è davvero un silenzio totale.
Dopo tre ore di Cammino attraversiamo Santa Catalina de Somoza, più oltre sul sentiero c’è una lapide con una croce di legno e un tumulo fatto di pietre.
E' per una pellegrina morta e mi domando per l’ennesima volta cosa spinge migliaia di persone provenienti da molto lontano, senza che siano necessariamente credenti o praticanti, a scegliere il Cammino di Compostela.
Anche lei ha ottenuto l’indulgenza e il perdono dei suoi peccati come dice la tradizione pur non completando il Camino.
Ci siamo, inizia la salita che dopo qualche curva porta a Rabanal del Camino, lasciamo il sentiero che affianca la strada asfaltata per un tracciato tra arbusti con a lato una recinzione in rete dove i pellegrini incastrano tra le maglie dei rami di legno a forma di croce.
Ce ne sono centinaia.
Sulla guida abbiamo scelto l’albergue El Gaucelmo, un po’ più lontano del municipale, ma storico, rustico e accogliente, gestito dalla confraternita inglese di Saint James.
Ci hanno offerto ospitalità con stile e gentilezza.
Più tardi nella notte, prima di addormentarmi penso che questa cosa meravigliosa stia davvero giungendo al termine.
Buen camino, dopo aver lasciato il delizioso alberque a Rabanal del Camino, dove hanno cercato di darci veramente il massimo sul piano dell’ospitalità e della simpatia, siamo arrivati passando sotto un bellissimo arcobaleno alla Cruz de Hierro, il punto più alto dell’intero cammino dove si respira spiritualità sospesi nella nebbia.
C’è un rispettoso silenzio da parte di tutti i presenti nel compiere l’atto di depositare la propria pietra.
A turno si scende dalla sommità per dar modo a tutti di avere una foto ricordo e i visi sono piene di emozioni.
Sole, freddo, nebbia, un narciso, una viola, che ogni tanto fanno la loro comparsa ai bordi dei sentieri da capre, le “pallozas” case con il tetto di paglia e poi ancora tante pozze d’acqua stagnante colmi di girini di tutte le misure.
Come per magia il tempo si rasserena e abbiamo potuto godere con lo sguardo il dislivello nella quale ci apprestavamo a penetrare, la discesa non è meglio della salita, o perlomeno richiede molta attenzione e una postura adeguata.
La discesa verso valle di dodici chilometri è durissima e sembra interminabile, con paesaggi mozzafiato aggira e costeggia più volte la strada asfaltata attraversando i piccoli paesi di El Acebo, Riego de Ambros fino ad arrivare al bel villaggio di Molinaseca con graziose e caratteristiche case, dove finalmente si conclude dopo cinque ore di Cammino la discesa e la tappa odierna.
Sono talmente stanco che avrei voglia di buttarmi sul materasso e dormire senza cena, ma bisogna massaggiare i piedi e sollecitare i muscoli indolenziti delle gambe, ungere le giunture.
Occorre mangiare bene per riprendere forza quando si conclude una tappa come quella di oggi, perché durante il Camino si mangia poco, anche se a più riprese.
Il sonno notturno è importante per prendere le forze, ma se nella camerata c’è qualcuno che russa tutto e compromesso è sarà difficile potersi addormentare e riposare completamente.
Buen Camino, partiamo alle otto con un cielo nuvoloso, l’aria fresca ci fa sentire bene e ci fa procedere spediti, la nostra meta è l’albergue municipale di Cacabellos, a ventitré chilometri da Molinaseca.
In due ore e mezzo arriviamo davanti alle imponenti mura del castello di Ponferrada, questa volta gli orari spagnoli fanno al caso mio così pure l’ingresso che è gratuito, giornata ideale per visitarlo mentre le mie compagne preferiscono proseguire.
L’ingresso del castello è preceduto dal fossato con sopra un ponte levatoio, seguono due grandi torrioni con merlature uniti da un arco e il portone che sembra disegnato apposta per un cartoon della Disney.
Così infatti deve essere il castello delle fiabe: esattamente con quel portone d’accesso, con quella merlatura, con la pianta quadrata e irregolare dell’edificio, il fossato e il ponte elevatoio.
Da solo riprendo il Camino quasi in completa solitudine, sono pochi i pellegrini che scorgo davanti a me e il loro procedere lento mi invita ad accellerare il passo come se mal volentieri sopporto qualcuno davanti a me.
La strada è ancora tanto lunga, duecento chilometri a Santiago di Compostela, chissà magari il Cammino ha in serbo per me qualcosa che ancora non ho scoperto.
Gli ultimi dieci chilometri sono stati davvero pesanti, camminati più con la testa che con le gambe, inoltre, è inutile mentire, risento ancora i tanti chilometri di discesa della tappa precedente.
Il percorso di ieri mi ha sfinito fisicamente mettendo a nudo tutte le mie problematiche corporali, ma il buon esito di questa impresa m’incoraggerà a organizzare il prossimo camino.
Poi, dopo più di un’ora tra vigneti e campi coltivati d’un tratto, quando temi d’avere un miraggio da un momento all’altro, intravedi un campanile e allora ti rendi conto che sei arrivato, ti rendi conto che, anche per oggi, hai finito, sfoggi il tuo miglior sorriso mentre porgi la credenziale di Pellegrino all’Ospidalero e sai per certo che domani ricominci a camminare e tanto ti basta.
Buen Cammino, Ho passato la notte nell’albergue municipale di Cacabellos all’uscita del paese costruito intorno alla chiesa/santuario della Virgen de las Angustias, dividendo la stanzetta da due posti letto con un ragazzo Giapponese.
Mi sveglio dopo una grande dormita e mi ritrovo a fare colazione da solo, molte delle persone che ho conosciuto e con cui ho percorso diversi tratti sono scomparsi così come erano comparsi.
Dopo la colazione a base di frutta fresca e secca, riparto sotto un cielo azzurro con temperatura di dieci gradi.
Il Cammino inizia sull’asfalto e costeggia la carrettera, all’uscita del paese un cartello indica duecentoventi chilometri a Santiago de Compostela.
Giunto a Villafranca del Bierzo visito la chiesa di Santiago e uno spendido giardino comunale.
Dopo aver superato un bel ponte e diversi paesini fino ad arrivare a Vega de Valcarce il sentiero è fatto di blocchi di cemento tipo New Jersey che incrocia di continuo l’autostrada sotto i suoi viadotti.
Arrivato a Las Herrerias ai piedi della salita che porta O Cebreiro il paesaggio è tutto cambiato, ora è totalmente verde e fresco con tanti ruscelli di acqua sorgiva da cui spesso bevo.
Altri otto chilometri tutti in salita percorsi guardando dall’alto verso il basso un paesaggio meraviglioso.
Ce l’ho fatta dopo dieci ore di Cammino, una colazione e un gelato per pranzo ma se fossi arrivato anche solo qualche minuto più tardi non avrei trovato da dormire.
Dopo la doccia niente bucato, fatta la spesa per la cena e la prima colazione, in branda non riesco a prendere sonno a causa della tanta adrenalina ancora in circolo.
Buen Camino, sono stato svegliato da una tipa spagnola conosciuta nell’albergue di Cacabellos che ha voluto insistentemente farmi dono dei suoi bastoncini che ho accettato.
Dopo aver fatto colazione in alberque mi accorgo di essere l’ultimo a lasciarlo, fuori il panorama è di un bello che ti lascia senza fiato, ammiro lo spazio al di sopra della nebbia che è immobile nel fondovalle provando una dimensione da sogno fatta di visioni reali fotografate in modo indelebile dalla mia memoria.
La solitudine di questi ultimi giorni, in un certo senso mi ha reso più vigile e attento trasformando il mio modo di vedere quello che mi circonda, mentre il mio cuore elaborando silenziosamente ciò che mi accade attiva dei sentimenti interni che provvocano in me forti emozioni.
Chiuso tra i miei pensieri, mi avvio contento perché il mio Cammino l’ho amato dal primo istante quando ho pensato di farlo e adesso rimarrà dentro di me.
Parto alle dieci e mezza con l’obiettivo di raggiungere Fonfria ad appena tredici chilometri da O Cebreiro.
Salgo senza probblemi sia l’alto di San Roque sia la salita all’Alto do Poio dove dopo quattro ore di Cammino mi fermo in un bar per mangiare un panino.
Sono in Galizia e un cippo di pietra mi ricorda la distanza per Santiago de Compostela centocinquantadue chilometri.
Il sentiero, ben segnalato taglia i boschi e le montagne, mantenendosi per buona parte al sole ed è davvero piacevole percorrerlo; sosto di frequente per scattare foto a ripetizione.
Camminando da solo, non ne ho avvertito il peso e con gli occhi, lo spirito pieni di entusiamo e felicità, anche oggi finalmente vedo qualcosa che assomiglia a un campanile ciò mi fa intuire che dopo nove ore di Cammino sono arrivato, anche per questa sera a casa, se casa si può definire la parte bassa o alta d’un letto a castello.
Dopo la doccia, il lavaggio e l’asciugatura dei panni, cena in albergue in un edificio poco distante, la cena squisita mi rimette in sesto e poco dopo mi infilo dentro il sacco a pelo, ho bisogno di dormire e sognare sempre.
Buon Camino, sta albeggiando quando esco dall’albergue dopo aver fatto una buona colazione, nel fare delle fotografie prima di lasciare il paese mi accorgo di un problema alle pile della macchina fotografica, vado in cerca di un negozio che trovo ma, l’orario di apertura affisso sulla porta non mi dà speranze, attendere più di un’ora e mezzo non mi è proprio possibile.
Mi incammino e dopo un paio di ore di Cammino in continua discesa finalmente intravedo Triacastela dove trovo tutti i negozi aperti.
Appena dopo l’uscita del paese mi trovo di fronte a una biforcazione dove un cippo di pietra indica a sinistra Samos e il suo monastero per raggiunge Anguiada a circa ventuno chilometri; a destra invece San Xil, questo è il percorso alternativo per raggiunge Anguiada dopo soli quattordici chilometri.
Prendo la discesa verso San Xil, questo è ritenuto il percorso antico e quindi tradizionale.
Appena superato il bivio attraversando il ponticello sul rio Oribio, affido il mio bordone alle sue acque che cullandolo lo allontanano dalla mia vista.
Passata la città di Triacastela si raggiunge una pianura molto bella con stradine di campagna delimitate spesso da muretti a secco e sui lati campi adibiti al pascolo di bestiame, molte case con orti, giardini e col proprio horreo per il granoturco, coltivato come alimento per il bestiame.
In corrispondenza di biforcazioni dei percorsi non mancano numerosi paletti con cartelli segnalatori che oltre la freccia, recano la figura del pellegrino munito di zaino e bastone, simili a tanti altri incontrati lungo tutto il Cammino, come pure tanti cippi in pietra tra cui l’ultimo incontrato che segnala centoventi chilometri a Santiano de Compostela.
Nel riprenere il sentiero ritrovo le ragazze Coreane, che mi guardano stupite chiedendomi che fine avessi fatto e come facevo ad essere già là, facciamo un pò di strada insieme con l’idea di ritrovarci nella cittadina di Sarria.
Ogni sera alla fine di una giornata di Cammino ho la riprova dell’influenza benefica che ha su di me il camminare, perché se pur stanco sono sempre sereno e contento, mentre mi sto rendendo conto che nel preparare lo zaino alla mattina qualcosa mi rallenta le operazioni e sempre più spesso sono uno degli ultimi a lasciare l’albergue.
Arrivo a Sarria dopo le cinque sotto un bel sole, l’albergue privato Don Alvaro, in calle Mayor che mi è stato indicato dalle ragazze è confortevole e ben tenuto.
Buen Camino, Questa mattina le mie compagne di viaggio sono partite prestissimo, col buio intorno alle sei, io ho continuato a dormire svegliandomi riposato e sereno, il sonno mi ha fatto proprio bene, nella camerata siamo rimasti in quattro.
Quando sono uscito dall’albergue nel chiarore del mattino, il cielo è pieno di nebbia e l’aria umida, il silenzio nella via in forte salita viene infranto dal rumore dei miei passi e da quelli che mi arrivano dietro le spalle.
E’una bolgia multicolore, sono famiglie di pellegrini che hanno appena iniziato il Cammino tutti con magliette stirate e scarponcini senza polvere ne fango.
I paesaggi variano in continuazione e si alternano fra loro: boschi di castagni smisurati, prati, pascoli, torrenti, ponti, numerosi saliscendi e piccoli paesi con i bar e i caffè che abbondano, con i loro tavolini colorati sulla via, come 51sul corso di una nostra cittadina del sud, aperti alle prime ore del giorno con molti servizi in più al pellegrino.
Dopo quasi un’ora di Cammino prima di arrivare a Barbadelo, che scorgo in alto su un colle davanti a me, mi fermo in un bar per un piccolo spuntino a base di frutta e comprare la solita bottiglia di acqua.
Dopo altre due ore di cammino in prossimita della località di Ferreiros do uno sguardo al cippo di pietra che avvisa che mancano cento chilometri a Santiago di Compostela e dopo averlo fotografato ho pensato che quello di oggi è il mio trentesimo giorno di Cammino.
Giro la testa guardo avanti e ricomincio a camminare e provo a fare una sorta di check mentale, le spalle non mi fanno male, le gambe, le ginocchia e le caviglie a ogni fine tappa hanno accusato qualcosa, ma è normale, non ho una sola vescica e Santiago de Compostela è a quattro giorni di Cammino.
Poco più avanti mentre mi accingo ad attraversare il rio Mino, mi accorgo che poco più avanti ci sono le ragazze Coreane, le raggiungo e insieme ci fermiamo a Portomarin nello stesso albergue dove, dopo aver cenato tutti insieme festeggiamo il compleanno di una di loro con una torta nata dal nulla: sei merendine, due cestini di fragole, panna spray e grissini per candele.
Dopo essermi lavato i denti mi ritrovo finalmente sdraiato dentro il sacco a pelo sul letto e con lo sguardo fisso sulla rete del letto sovrastante prima di chiudere gli occhi mi ritorna in mente la domanda: dove sono gli altri che ho conosciuto lungo il Cammino.
Buen Camino, quando esco dall’albergue c’è silenzio, dopo pochi chilometri di marcia mi accorgo che non basta quello che ho mangiato come colazione in albergue e come al solito ho fame così mangio il contenuto di tutta una bustina di frutta secca.
Parlo con una coppia americana, capisco che sono partiti solo da due giorni da Sarria perché sono riposati freschi e con le scarpe pulite, mentre noi pellegrini di lunga distanza invece ci riconosciamo subito: viso tirato e abbronzato, capelli scompigliati, scarponi impolverati ma soprattutto uno zaino più capiente.
Giungo velocemente a Gonzar che dista otto chilometri dalla partenza e mi fa ridere pensare che ormai cinque o otto chilometri da percorrere sono uno scherzo per me.
Al bar incontro le ragazze che mi presentano a padre e figlia anche loro coreani, non trovo niente da mangiare che ispiri fiducia o che non sia stato sorvolato dalle mosche perciò bevo un succo d’arancia, metto un paio di banane nello zaiono e via!
Oggi volevo fare una tappa un po’ più lunga ma ho desistito per non ritrovarmi da solo, così facendo ho parlato con la ragazza appena conosciuta che parla molto bene anche lo spagnolo, una ragazza serena e cordiale che mi ha rallegrato il Camino anche durante una lunga salita dove raggiungiamo altri pellegrini conosciuti la sera prima.
Con semplicità il clima tra di noi diventa familiare, sono tutti molto simpatici.
Ogni pellegrino porta con sé la sua motivazione, tutte diverse: amore per la natura, per sport, motivi religiosi e di spiritualità, bisogno di evasione, devozione, mantenere una promessa fatta, bisogno di silenzio per poter trovare risposte o semplicemente per ripetere una esperienza già fatta.
Durante il Camino c’è tempo per stare soli, tempo per camminare con gli altri, tempo per stare in silenzio, tempo per parlare, tempo per confidarsi e tempo per ascoltare confidenze, tempo per incoraggiare e tempo per ricevere sostegno.
Cammina cammina arriviamo in prossimità di un giardino pubblico dove non credo a quello che vedono i miei occhi, un banchetto pieno di lecornie: banane, mele, fichi secchi, uva passa, noci, nocciole, biscotti fatti a mano, diverse torte e tanto altro da consumare lasciando una libera offerta, naturalmente ne approfitto.
Arriviamo all’albergue dove tutti insieme andiamo a cenare nell’apposito locale mangiando quanto acquistato al supermercato, poca spesa tanta resa, la cucina asiatica mi piace proprio.
Ho capito che serve poco, pochissimo, quasi niente per andare avanti, il resto e pesantezza nello stomaco che si aggiunge al peso che già porti sulle spalle.
Buen Camino, la colazione e poi via da Palas de Rei.
Il camminare non è una fuga ma uno strumento per mettersi in ricerca, per misurarsi con i propri desideri, con le prove da affrontare per cercare i propri limiti e da lì passo dopo passo verrà una nuova esperienza di condivisione che potrà diventare un racconto, con poco: uno zaino e le scarpe giuste.
Il paesaggio inizia a cambiare seguendo prima la statale e poi un sentiero che porta a San Xiao do Camino.
E’ incredibile, ma più mi avvicino a Santiago de Compostela, più penso con tristezza quasi con terrore al momento in cui finirà, e tornerò alla vita di tutti i giorni.
Comunque sia, sono certo che mi resterà addosso per un bel po’.
Sarà difficile scordarsi tanta umanità, gli straordinari scenari che la Spagna mi ha regalato e tutte le persone che ho incontrato, con le quali ho stretto rapporti molto belli, unici, pur sapendo che ognuno di noi lascerà andare gli altri al proprio paese, al suo luogo, alle proprie origini, alle proprie famiglie, il distacco sarà difficile ma anche inevitabile.
La campana suona mezzogiorno mentre mi avvicino alla chiesa di Melide.
Sono in marcia da quattro ore e le mie gambe hanno percorso quindici chilometri e ne mancano ancora dodici da percorrere per arrivare a Ribadiso.
Superata la cittadina di Melide ho attraversato un bosco di eucalipti e felci dal profumo inebriante, una magia durata solo pochi minuti che nessuna tecnologia è in grado di riprodurre.
Sono stanco ma non è stanchezza fisica o mentale; è semplicemente una stanchezza da Camino
che solo in pochi potranno capire e ho tanta fame.
Decido allora di fermarmi a mangiare un piatto di insalata e un piatto di riso con verdure miste, molto buono!
Passate tre ore giungo a Ribadiso dopo aver percorso un paesaggio verde e ondulato con attraversamenti di ruscelli, fiumi e boschi, niente di difficile o di impegnativo ma con continui tratti di saliscendi.
Il rifugio è bello e piacevole, non è in una zona abitata ed è composto da antiche costruzioni in pietra in un prato in prossimità di un rio che scorre placido, dove è stato piacevole immergere i piedi nelle sue fresche acque.
Il pomeriggio scorre via tra fare il bucato a mano e stendere i panni che si asciugano rapidamente grazie alla bella giornata di sole e con tanta aria.
Alle ventidue rigorosamente tutti a letto, si spengono le luci, infilo la testa dentro al sacco e sono felice, felice dentro, dentro gli occhi, dentro il cuore, dentro i piedi, sono felice.
Buen Camino, faccio la colazione nel bar a fianco dell’albergue ordinando una tostadas che a mio dire è il modo più tradizionale di fare colazione ed è un’alternativa gustosa e salutare ad altri tipi di colazione a base di prodotti confezionati.
Si tratta di fette di baguette di pane casareccio tagliate per metà, tostate ed accompagnate di “ripieni” dolci o salati.
Sto per arrivare alla meta, quello di oggi è il penultimo giorno dei trentatre.
La soddisfazione per il quasi compimento del cammino si mescola con la malinconia per l’avventura che sta per terminare, l’ultima pietra miliare vista ieri segnava quaranta chilometri.
Il percorso di oggi non è particolarmente lungo solo ventidue chilometri con tanti dislivelli contenuti e qualche salita con pendenza accentuata.
Querce e castagni cominciano a vedersi sempre di meno, al loro posto tanti gli eucalipti mentre attraverso tanti piccoli villaggi tutti simili gli uni agli altri.
Cammino da quasi due ore sotto un cielo che assume lentamente una colorazione azzurra, anche oggi è sereno.
La fame comincia a tormentarmi, raggiungo Bebedeiro e mi fermo a mangiare presso un bar affacciato sulla strada dove al suo interno noto parecchi commensali nella sala da pranzo.
Altre persone conversano con il bicchiere in mano ai tavolini o appoggiate al bancone, il gestore è indaffarato e mi tocca attendere non poco per ordinare da mangiare.
In queste ultime tappe ho completamente cambiato i compagni di cammino, per lo più vacanzieri in una lunga e interminabile processione.
Certo comunque che il contorno che, al di fuori dell’ambito religioso, si respira in queste ultime tappe di cammino è quello meramente consumistico.
Superato il paese di Salceda mi fermo davanti a un piccolo monumento a ricordo di un pellegrino morto qui ad una giornata da Santiago.
Penso che il giorno seguente se tutto gli fosse andato bene sarebbe arrivato alla meta, si sarebbe potuto sedere nella piazza di fronte alla cattedrale ed essere orgoglioso di aver compiuto l’impresa.
Ma la vita a volte è crudele, all’ultimo momento quando sembra che tutto si possa compiere nel verso giusto qualcosa va storto e inevitabilmente la nostra esistenza viene sconvolta da tragici eventi.
Supero quasi di slancio parecchi pellegrini, anche in gruppi; molte sono ragazze giovani, mi stupisco della mia andatura notevolmente più veloce, come se avessi una marcia in più.
Forse era predestinazione ma con il mio procedere veloce ho raggiunto le mie compagne coreane sedute per una pausa di riposo e ristoro all’ombra al tavolo di un bar.
Mancano pochi chilometri all’albergue di Arca do Pino a Pedrouzo, dove terminerà la penultima tappa del mio cammino, e sono i più estenuanti.
Forse, sto abusando del mio fisico, ma a questo punto…
Buen camino, dopo una nottata di meritato riposo, vengo svegliato dalle mie compagne sistemate nei letti vicino al mio.
Subito mi rendo conto che parecchi pellegrini si sono già avviati verso Santiago prima di noi e la smania di arrivare alla meta è nell’aria che respiro.
Mi sento pervaso da una forza sconosciuta che mi aiuta e mi fa sentire leggero.
In breve mi trovo fuori sulla strada rischiarata a malapena dalle prime luci dell’alba, con direzione Pedrouzo, la strada è lungo la carretera fino a una svolta che immette in un bosco di eucalipti e le ragazze la rischiarano con le torce dei loro telefonini.
I trochi degli alberi sui lati sono presenze un po’ minacciose per le ragazze che si avvicinano sempre di più a me, mentre il rimbombare disordinato dei nostri passi sono una compagnia rassicurante per tutti nel silenzio misterioso del bosco.
Superiamo alcuni pellegrini salutandoli con il solito“ Buen camino” appena accennato che immediatamente vengono inghiottiti dall’oscurità alle nostre spalle con il loro ticchettio dei bastoncini che man mano dimunuisce in lontananza.
Usciti dal bosco per una sentiero di campagna arriviamo ad Amenal dove troviamo un bar aperto per la consueta colazione ipercalorica da parte delle ragazze che si ripete invariabilmente.
Proseguiamo camminando per una dura salita circondata dai soliti eucalipti e da una folta vegetazione che a volte crea veri e propri tunnel naturali.
I muscoli delle mie gambe cominciano a riscaldarsi e a tendersi per lo sforzo, le ragazze non mollano mi seguono come segugi.
Sudo abbondantemente e vado un po’ in affanno mentre supero altri pellegrini verso la parte terminale della salita, dove in lontananza comincio a sentire il frastuono degli aerei del vicino aereoporto.
La strada diventa pianeggiante, mi asciugo il sudore sulla fronte e percepisco che la maglietta è umida ma non è un problema perché ci perserà il sole che già splende in alto sulla mia testa ad asciugurla.
Superati i confini recintati dell’aereoporto scendiamo verso il paese di Lavacolla per poi salire a Vilamaior avvolti da una luminosità abbagliante.
Lungo la carretera che porta al Monte do Gozo e poi a Santiago procedo un po’ stanco, sul bordo della strada ci sono gli edifici delle sedi televisive galega e spagnola.
Quando giungo al Monte do Gozo, dove è situato il rifugio resto sconcertato per le dimensioni dell’albergue, non riesco a paragonarlo a nessuno di quelli incontrati finora.
In prossimità di un campeggio c’è un bar dove decidiamo di fermarci per magiare.
Ordino una buona zuppa di lenticchie.

Proseguiamo e, dopo una breve discesa, ci troviamo di fronte al cartello di Santiago che può rappresentare la fine o il proseguimento di qualcosa.
Chi andrà verso casa, chi verso Finis Terrae, altre quattro tappe per vedere quella che per tutta l’Europa fino alla scoperta delle Americhe era inequivocabilmente la fine del mondo: l’Oceano.
Non per me che ad oggi non avevo ancora fatto il biglietto di rientro, perché mi piaceva molto quel senso nomade senza l’ansia da ritorno.
Superiamo la Porta del Camino ed entriamo nelle stradine del centro storico, una delle ragazze decide di andare in cerca dell’indirizzo dell’ostel indicato su un bigliettino.
Con un po’ di fortuna , troviamo la via nel centro storico a lato della piazza O Obradorio, a pochi minuti dalla cattedrale, è una bella sistemazione al primo piano di un piccolo stabile.
Usciamo dall’albergue e andiamo al centro del pellegrino a ritirare la Compostella, dove in fila troviamo d’avanti a noi molti pellegrini.
Al cospetto del funzionario mi vengono poste diverse domande tra cui dove ho iniziato il Camino e perché l’ho fatto.
Perché l’ho fatto?
Bella domanda...
In meno di un’ora tutti abbiamo il nostro documento e ci incamminiamo verso la cattedrale dove c’è tantissima gente.
A Santiago ci si ritrova tutti, a Praza do Obradorio e nelle viuzze del centro storico si ritrovano persone incontrate giorni o settimane prima, si sta assieme, e stare insieme il giorno degli addii è importante, rende meno brusco il ritorno.
La sera, una cenetta in compagnia presso un locale poco distante dalla piazza, senza ne pretese, né clamori, un addio tra amici a cui non servono molte parole.
Domani ci saluteremo definitivamente e sarà per sempre.
Da parte mia, come mia abitudine, do spazio alla malinconia, così da farmi avvolgere da una struggente nostalgia di casa e di affetti cari.
Il Camino quello concluso sotto il cartello di Santiago è già archiviato nei ricordi, quelli che non si scordano.
***
Questo è stato il mio primo Camino, fatto di fatica, gioia e solitudine, ma anche di paesaggi stupendi e nuove amicizie che mi hanno fatto apprezzare di più le cose semplici ed essenziali.
Sono grato per questo a tutti gli amici che ho cosciuto, da Thomas, alle ragazze coreane, a chi mi ha consigliato prima della partenza e tanti altri senza nome che ho incontrato lungo il Camino.
Ed io?
Io mio auguro di avere sempre questo desiderio incontrollato di buttarmi ogni tanto lo zaino in spalla e partire per un altro Camino.