Mille miglia, un sogno

Mille miglia, un sogno

Mille miglia, un sogno Ho intrapreso questa traversata per passione? Voglia di vivere? Forza vitale? Ognuno la chiami come vuole. Lo scopo non era riuscire a fare la traversata, ma viverci dentro adattandomi, trovandomi bene in tutte le situazioni climatiche di mare e di vento.


Uno degli obiettivi più importanti era provare a farlo bivaccando, dormendo all’aperto con solo la tenda, e se necessario trovare dei ripari notturni. Quelle notti sotto le stelle vicino al mare mi hanno dato serenità e accoglienza.

Procedere su una rotta sconosciuta che prende forma davanti alla prua nella nebbia o nell’oscurità ha cambiato le mie aspettative.
Il vento inoltre mi ha regalato la gioia di godere del silenzio della navigazione a vela e del rincorrersi di ricordi, di momenti di rilassamento o di tensione, così come decide il mare, la dove voglio andare, dove non ci sono segnati confini, non svolte obbligatorie, solo il cielo che lontano tocca l’acqua.
Dopo la traversata ho perso parecchio individualismo, ho spostato molta attenzione dall’io a ciò che c’è fuori, intorno, con più voglia di ascoltare.
L’uomo e il mare un rapporto a due.  Molte volte avevo già vissuto grazie al nuoto, alla vela, all’apnea, alla pesca e  al kayak-fishing questo stretto legame. 

Kayak-Fishing

Ho incontrato il mare solo con le mie forze in solitario, nel totale rispetto ambientale; questo viaggio mi ha dato un punto di osservazione diverso, nuovo e totale.
Il mare tutto intorno a me, io e il kayak in ammollo, in acqua nel vero senso del termine, per ben trentanove giorni e ogni giorno aggiungevo al mio viaggio sempre nuove emozioni. Calma piatta, via di pedali e pagaia.
Alito di vento, a vela spiegata.
Piccolo tsunami, vela quanto basta e pedalate a tutta velocità per cercare un approdo sicuro.
Pescare solo per necessità. La vela con la scottina legata all’ama per ripararmi dal sole cocente.
Termiche, in ogni tratto di costa ne scoprivo una nuova e sempre diversa dalle altre, certe volte mi sono sentito affranto, sfinito per la durata di questi fenomeni, ma sempre più forte alla fine.  Così il mare ogni giorno mi svelava i suoi segreti, le sue anomalie, le sue emozioni e i suoi cambiamenti repentini ed io da intruso l’ho rispettato, con giubbotto salvagente autogonfiabile e cinghia elastica di sicurezza, anche se qualche volta a denti stretti, molto stretti.   
Insegnamenti che non dimenticherò.
Alcuni momenti sono stati imprevedibili, esagerati e altre volte calmi, anche troppo, ma molti sono stati i momenti in cui l’animo era calmo e il corpo rilassato in totale armonia con il mare.


La preparazione è stata scrupolosa, ormai ci pensavo da mesi, ma è stata anche vissuta con spirito avventuroso, e per quanto si possa programmare una traversata in mare è alle regole del mare che ti devi attenere giorno per giorno, ora per ora.
Nella fase di ottimizzazione del carico, per meglio equilibrarlo, ho stivato il tutto in sette sacche stagne: una da 60 e una da 25 litri  nel pozzetto di prua con all’interno vestiario e attrezzatura per il bivacco, due da 10 e una da 8 litri nel pozzetto di poppa con generi di sopravvivenza e parti di ricambio, una da 12 e una da 8 litri nel pozzetto centrale con attrezzatura da pesca, piccoli accessori come alimenti, occhiali, telefono, al quale accedere anche in navigazione, sempre che le condizioni del mare lo permettessero.


Il mio viaggio iniziò da Genova Sturla passando da Quarto. La costa già mi regalava un simbolo, lo scoglio da dove Garibaldi partì con i suoi mille, mille come le miglia di navigazione che iniziavo a percorrere nella stessa direzione e con la stessa meta: la Sicilia.
Pronto a salpare con il mio kayak, un trimarano Hobie Adventure Island, da Genova Sturla, il 25 giugno 2012 alle ore 09:15.
Mi sembrava la solita uscita a pesca, se non fosse stato per l’orario e il carico.
Dopo aver salutato mia moglie non ho avuto la sensazione di essere solo perché ero fortemente motivato e propenso ad accettare tutto ciò che avrei incontrato.  Come primo giorno non ho percorso molte miglia, il mare e il vento non me lo hanno permesso.
Ho percorso le mie prime 15 miglia, le prime con corrente favorevole e mare poco mosso, poi  in prossimità di punta Chiappa è montata un’aria di prua da Sud Est con onda ripida e corrente tra la prua e il traverso che mi ha costretto ad una bolina strettissima.
Sono arrivato con le chiappe un po’ umide ed ho pensato di essere forse troppo pesante e di avere esagerato con il carico.


La prima sosta è stata Portofino, passata in compagnia di un clochard e il suo cane Nico, che qualche mese prima era stato sottratto a Michele e ritrovato a Genova grazie alla mobilità della città di Santa Margherita e al suo sindaco. Per me è stata la prima prova, avrei dormito senza fissa dimora anch’io come il clochard per ben trentanove giorni.
Il clochard dormiva sotto una barca ed io vicino al mio kayak.
Per ben due volte sono stato svegliato dal cagnolino che, come un antifurto, al minimo rumore richiamava la nostra attenzione.    Mi sono svegliato alle 04:00 e ho lasciato la spiaggia alle 05:00.
Mi sono reso conto che per riporre il tutto nei sacchi stagni e caricare il kayak ci voleva un’ora. Lo stesso tempo la sera: da quando approdavo a quando piazzavo la tenda con l’occorrente per la preparazione della cena e il necessario per la notte. Il secondo giorno per mancanza di vento ho pedalato e pagaiato per  dieci ore percorrendo 31 miglia. Non è che il buon vento auguratomi dagli amici del forum kayakfishingitalia è come “buona pesca”? Ah, dimenticavo, pescando in prossimità dell’arrivo ho preso dei sugarelli che avrei cucinato per cena. A Monterosso mi è stata offerta una canna dell’acqua da un signore di un circolo nautico ed ho poturo fare una doccia. Il vento da NE oggi mi ha fatto sudare per una decina di miglia nel cono d’ombra ma, indovinando il bordo giusto di destra, quello del corridoi di Porto Venere, mi sono asciugato e fatto navigare a 8 nodi.

 


Ho festeggiato il mio compleanno alle Cinque Terre; grazie Eolo mi hai fatto un grande regalo, ho percorso con poca fatica ben 38 miglia.
Poco prima di sopraggiungere a Viareggio, ho costeggiato le sue lunghe spiagge e le sue bianche montagne scavate per la presa dei marmi.
Mentre intorno tutto tace, salpo allontanandomi dalla spiaggia silenziosamente, con la sola vela, complice una lieve brezza da terra che fa scivolare via il kayak leggero come un palloncino. 
Lungo la costa in prossimità di Marina di Pisa verso mezzo giorno sospinto da una leggera brezza il kayak proseguiva lentamente con la sua andatura al traverso.
Con lo sguardo rilassato rivolto verso la spiaggia di ghiaia bianca vedevo una persona che gesticolava e di corsa e a piedi mi seguiva lungo la spiaggia in parallelo, almeno così sembrava visto dal mare.
Successivamente dopo aver letto i post su Kayakfishingitalia ho capito che era Santiago.
Proseguendo lungo il litorale ho ammirato molto da vicino sulla foce dell’Arno diverse imponenti costruzioni realizzate in legno chiamati trabocchi che permettono di pescare “a vista” senza doversi inoltrare per mare.
In Toscana ho incontrato la prima vera termica, dopo quella incontrata in Liguria,  che mi ha davvero provato e quasi deciso a spiaggiare sapendo di compromettere il mio viaggio poi ho trovato la lucidità necessaria grazie allo stato adrenalinico ed ho scelto di proseguire e il coraggio di arrivare sino al porto di San Vincenzo e li ho festeggiato il mio onomastico. 


Certe volte avrei voluto che il vento fosse più costante, ma sono io che mi dovevo adattare ed è questo che ho fatto per tutto il viaggio sempre con grande devozione e grandissimo rispetto.
All’arrivo in spiaggia a volte, certi problemi che si ponevano alla partenza si ripresentavano, in particolare la scelta del punto di approdo.
“Ricordarsi che con vento di prua quando il vento soffia da terra generalmente non vi sono onde frangenti sulla spiaggia ma è meglio una spiaggia ripida per mantenere timone e deriva il più a lungo possibile.” “Ricordarsi che con poco vento di poppa, quando il mare è calmo si può arrivare con la vela spiegata e all’ultimo momento ci si porta al traverso con timone e deriva alzati e il kayak scarroccia lentamente verso la spiaggia.” “Ricordarsi che con onde lunghe che frangono in prossimità della riva su coste sabbiose e con poco fondale e con mare mosso meglio il punto più sopravvento, dove sono meno forti, perché i frangenti sono più pericolosi all’arrivo che alla partenza.
Mettersi subito sopravvento per non rischiare di scuffiare ed essere investiti dallo scafo e passargli sotto”
“Ricordarsi sempre di sollevare in tempo la deriva, il timone, i pedali e il trasduttore.” “Ricordarsi di arrivare in spiaggia con pochissima velocità, o senza velocità del tutto, il kayak è più vulnerabile a poppa che a prua.” Una volta spiaggiato, per alare il kayak almeno fino a sicurezza mi sono servito spesso dei due spezzoni dello scaletto di alaggio autocostruito, che tenevo in coperta dietro la seduta.
Più di una volta mi hanno tolto dagli impicci per non far strisciare la chiglia sulle rocce taglienti.
Tutte le mie attrezzature elettroniche, GPS, VHF, batterie del cellulare venivano ricaricate nelle soste pomeridiane, infatti cercavo sempre di fermarmi entro le quattro e mai oltre le cinque, in modo da dare al pannello solare la possibilità di ricaricare il mio multi-caricatore.
Ogni mattina, i miei gesti erano codificati e per un’ora mi dedicavo a quella che sarebbe diventata una routine, forse l’unica ripetuta meticolosamente per tutti i miei giorni in mare, tanto da rendermi conto che il carico, intendo dire l’abbigliamento e gli accessori vari erano eccessivi, mal riposti e avrebbero potuto essere in minor quantità.
Di certo avrei potuto rinunciare alla schiuma e alle lamette, visto che non ho mai avuto né il tempo, ne la voglia di fare la barba che allungandosi, oltre a segnare il tempo trascorso mi è stata utile come protezione solare per il viso.


La Toscana mi ha regalato dei paesaggi davvero straordinari: Golfo di Baratti e Populonia, Salivoli dove al largo ho incontrato un bellissimo veliero ed i suoi prodieri all’opera sulla coffa dell’albero maestro. 
Il passaggio a Piombino in mezzo ai traghetti non è stato problematico, vista l’esperienza acquisita a Genova dove spesso pescavo in mezzo a traghetti e navi da crociera, ma di certo non mi aspettavo tre rimorchiatori d’altomare a poppa che mi hanno un po’ intimorito per la loro velocità.  
Il primo di luglio a Follonica la sveglia puntata come ogni giorno alle 04:30 del mattino è stata allietata da cornetto e caffè offerto da Encho, che mi ha anche accompagnato per un tratto e salutato con qualche indicazione per l’attraversamento tra la Maiala e i suoi Maiali, in direzione Punta Ala.

Encho


Vista la calma di mare mi sono dedicato un po’ alla pesca e mentre ero in equilibrio instabile a cavalcioni sul pozzetto di prua abboccò un pesce di quelli che quando hai recuperato tutto e li guardi negli occhi ti dicono “ciao” e si riprendono filo per mezza bobina.
Orzo e per un una decina di minuti siamo io e il pesce, poi l’ancoretta ha la meglio e il mulinello lo porta sottobordo. In equilibrio tra la seduta e la schiuma delle onde lo tiro a bordo, lo finisco a coltellate e non potendolo cucinare a bordo lo sfiletto ed ecco servito il sashimi di leccia. Alla pesca avrei dovuto dedicarmi solo nel pomeriggio prima della sosta serale se la mia intenzione fosse stata procurarmi del pesce per mangiarlo cotto.
Altrimenti mi sarebbero venuti gli occhi a mandorla a furia di mangiare sashimi. 
Solo una volta a causa del bucato e alla necessità di ricarica accumulatore mi sono concesso una sosta in più e in quel caso anche una dose doppia di riso, perché quel giorno non avevo avuto fortuna con la pesca. 
I miei pasti generalmente li ho sempre consumati in navigazione, anche i panni li ho fatti asciugare durante la navigazione grazie alla brezza, ma ho dovuto smettere di utilizzare quel metodo perché qualche pezzo di abbigliamento intimo l’ho smarrito durante l’asciugatura. 
Se qualcuno dovesse trovare un paio di slip con dei pesciolini sono i miei.
Quel giorno grazie ad una leggera brezza con poca fatica mi sono diretto verso Marina di Grosseto.  La mia prossima sosta sarebbe stata Porto Santo Stefano per incontrare il mio amico Dragonfly.
Qualche miglio prima dell’arrivo pescando a traina con l’artificiale ha abboccato una ricciola, quella sarebbe stata la mia cena.
Dragonfly è arrivato sul tardi, sono stato felice di averlo incontrato dopo tanto tempo.   Lasciato il paradiso dell’Argentario, sono entrato nelle acque territoriali degli amici laziali e romani (se parliamo di fede calcistica).


Le lunghe spiagge, percorse a causa dell’assenza di vento quasi esclusivamente a pedali e pagaia, hanno fatto sì che mi confondessi con i bagnati di Fregene e Ostia; sembravo proprio di essere su di un pedalò. Grande esercizio per i muscoli delle mie gambe che ho scoperto essere davvero forti, ma di questo avrò modo di parlarne più avanti.   Mentre navigavo a mezzo miglio dalla costa in un’area dove non c’era nessun’altra imbarcazione, notavo in lontananza solo due macchie scure.
Man mano che procedevo nella loro direzione le macchie cominciavano a prendere la forma di due imbarcazioni di colore grigio.
Secondo voi non potevano essere due motovedette della guardia di finanza? Era proprio così ed ero ormai troppo vicino.
Pensavo di passare inosservato ma il colore del mio kayak mi ha fregato. Usando il megafono mi hanno chiesto di avvicinarmi e alla domanda dove andavo rispondevo che ero diretto in Sicilia. Alla seconda domanda “dove?” pensando che li stessi prendendo in giro, mi hanno lanciato una cima per accostare. Ed è incominciato l’interrogatorio insieme a tante domande sul viaggio. Essendo stato molto esaustivo mi hanno liberato ma con l’invito ad allontanarmi dalla costa tre miglia e proseguire su quella distanza per tre chilometri.
Mi hanno spiegato che in quel tratto di costa era interdetta la navigazione a tutte le imbarcazioni trattandosi di un tratto di costa confinante con la tenuta presidenziale di Castelporziano, residenza estiva dei presidenti della Repubblica Italiana.  
Dopo ripeuti contatti telefonici con Costa.Ovest sono approdato di fronte casa sua, proprio in riva al mare.

Costa.Ovest


Abbiamo trascorso un’oretta insieme sul terrazzo a chiacchierare e bere Costa.Ovest ha trovato un po’ di tempo per accompagnarmi in un centro commerciale per acquistare una nuova macchina fotografica perchè quella con cui ero partito era affondata in mare il giorno prima. Per fortuna la memory card era integra e ho recuperato tutte le foto. La nuova sosta presso la Lega Navale di Pomezia a Torvaianica mi ha permesso di conoscere nuovi amici. Il presidente Mauro Zecca mi ha dato grande ospitalità e tante informazioni utili per la successiva navigazione. Mentre ero in spiaggia a fare la quotidiana e doverosa manutenzione mi ha telefonato Todox che mi preannunciava il suo arrivo e scoprendo che era isolano come me la Sicilia mi sembrava sempre più vicina. Avere approdi sicuri durante la navigazione in solitaria è importante e riposare tranquilli in modo di ricaricarsi e poter partire all’alba con tutte le forze era ed è davvero necessario. Le forze, sì le proprie forze, quelle che mi sono servite per affrontare, questa avventura con tutta la lucidità necessaria per godere di ogni istante e di ogni  essere.
Ogni regione, ogni costa d’Italia mi hanno regalato spettacoli mai immaginati e indimenticabili.  Sulla spiaggia Vecchio Nettuno, dove ho sostato per una notte, ho incontrato un poeta marabbitto che con i suoi cartelli suggerisce il codice del saper vivere  TU BRAVO IO BRAVO !   TU NO BRAVO IO NO BRAVO!
E io sono stato bravo e sono stato accolto da amico, direi quasi da fratello. Ho apprezzato ogni persona incontrata.
Chi mi ha incontrato ne è stato testimone; ho reso tutti partecipi con i miei racconti pieni di entusiasmo necessari a ripagarmi delle ore trascorse in solitario o forse sono semplicemente un chiacchierone come direbbe il mio amico Ri65. I colori che mi hanno sorpreso tra il tratto da Terracina a Gaeta, li ricordo ancora.
Quelli in spiaggia di Moustafà che con il suo carretto colorato di materassini e salvagenti alle spalle lo faceva sembrare uno di quei ballerini di samba durante il carnevale a Rio con tutte le piume colorate. Appena superata la fortezza di Gaeta a vela, il sole splendeva e il mare era coperto da patine sottili di olio.
Evitavo una serie di barche grosse e indifferenti, evitavo anche una serie di pescherecci intenti a salpare le reti.
Proseguivo verso sud, di bolina larga, aiutato dalla corrente, verso quel capo oltre al quale solo uno stretto braccio di mare separa la fortezza di Gaeta per assistere a uno spettacolo a dir poco superbo e indimenticabile. Mi sono trovato in mezzo alle barche a vela d’epoca della Marina Militare, io con la mia piccola vela giallo azzurra e loro attrici principali con quei scafi e quelle bellissime grandi vele bianche, con una cornice rossa bianca e verde, mi sono sentito grande anche io.
Anche a  Scauri sono stato accolto ed ospitato dagli amici della Lega Navale, durante la mia ultima sosta sulla costa laziale del Tirreno.  Non finirò mai di ringraziarvi tutti a questo penso, con un po’ di malinconia, mentre bordo dopo bordo risalgo verso la Campania.


La prima costa toccata in Campania è stata la spiaggia di Castelvolturno in mezzo alla gioventù del Lido Arcobaleno. Hanno sollevato il mio kayak con tanta facilità per aiutarmi a spiaggiare.   A Pozzuoli altra sosta presso la Lega Navale, dove come sempre sono stato  accolto con grande gentilezza da Maria Grazie e Agostino.  E la sera che dire.. Chiacchierata con gli amici del forum, che mi hanno raggiunto a Pozzuoli.  Ho iniziato a mangiare: frittura mista, una grande bruschetta con pomodorini, una zizza di mozzarella, pizza salsiccia con i friarielli e la classica bufala e pomodorini, mi sono reso conto di aver mangiato tanto solo quando davanti a uno spettacolare babà ho detto no (ma come ho potuto?).    Ho salutato Nem e Gnukket alle due di notte. Dopo una breve dormita la sveglia ha suonato pimpante alle 04:20 per farmi salpare nel silenzio dell’alba a pagaia, procedendo piano piano passando vicino alle barche ancorate. Dovevo assolutamente attraversare il Golfo di Napoli all’alba. Dopo aver navigato per circa due ore è arrivata un intensa foschia e in un attimo ho perso tutti i riferimenti. E’ stata una sensazione di assoluta assenza, poi nella calma innaturale mi sono ritrovato navigante in un mare senza tempo.
Il Vesuvio e l’isola di Capri; non riuscivo più a vederli e non riuscivo ad orientarmi.
Mi sembrava di essere Ulisse, ma non volevo essere invisibile come lui.

Ero all’interno del Golfo sulla rotta degli aliscafi e volevo assolutamente allontanarmi. 
L’uomo moderno ha avuto il soppravvento ed il G.P.S mi ha guidato, perché la bussola, incredibile ma vero, era rimasta a Milano. Un marinaio senza bussola, per fortuna un marinaio con G.P.S. e batteria quasi scarica. La traversata con pochissimo vento è stata un continuo virare con la mano salata sul timone ad accompagnare il kayak a stringere il più possibile il vento. L’angolo era buono ma la velocità scarsa, virata dopo virata mi sono goduto il silenzio, il sole e quel pochissimo vento. Sono arrivato a Sorrento dopo otto ore di navigazione, dopo aver perso un bel pesce a traina. Sorrento è incredibile, l’arrivo dal mare è uno spettacolo davvero sorprendente.
Quando sono sceso a terra avevo gli occhi pieni di mare e la testa piena di fantasie. Ospite di Yuri e suo fratello presso la Marina Piccola dove gestiscono l’agenzia Sorrento Boat che offre la possibilità di visitare i luoghi più suggestivi e meravigliosi presenti in questa costa ricca di fascino.
La serata trascorsa insieme ai nuovi amici e stata molto piacevole. Una cena “mare e monti” e ho bevuto un liquido giallo che ha il sapore ed il profumo dei limoni di Sorrento. Stavo percorrendo la costa panoramica più bella d’Italia, la costiera  sorrentina e amalfitana, i luoghi più incantevoli d’Italia.
Le mangiate campane grazie ai molteplici carboidrati, ingeriti sotto forma di prelibatezze, mi hanno permesso di resistere molto bene alle estenuanti pagaiate e pedalate necessarie a causa dell’assenza di vento per poter procedere. Ho avuto così l’opportunità di godermi apprezzando sottocosta tutte le sfumature che questo tratto di mare mi ha regalato.
La costa Campana come per quella Siciliana, sono quelle che mi hanno offerto le emozioni più forti nel vero senso del termine.
Ho conosciuto la vera forza e imprevedibilità del mare.     
Dopo Amalfi la stanchezza aveva avuto il sopravvento su di me, ma avevo sottovalutato però la magia della vela, o forse la generosità di Poseidone che vedendomi così provato mi ha leggermente spinto e accompagnato per le ultime due tre miglia verso Vietri sul mare, dove Capitano64 con Franc3sco e suo padre mi hanno fatto una grande sorpresa. Una “grande mangiata” in spiaggia e come se non bastasse mi hanno riempito la cambusa per i giorni a venire.  
L’ospitalità degli amici campani è stata davvero unica.  La serata è stata piacevole l’ho trascorsa con nuovi amici, ma con la sensazione di esser stato loro amico da sempre. Ed è proprio lì nel Golfo di Salerno che mi è stato regalato “l’imprevedibile”.


L’articolo di Repubblica del 13 luglio 2012 diceva piccolo tsunami nel basso Tirreno; onde alte un metro da Palermo a La Spezia.
Il fenomeno è durato tre ore: il mare si ritirava dalla costa di venti o trenta metri e poi tornava. Questo ogni tre, cinque minuti .
Il vento girò non so di quanti gradi e la vela fece orzare il kayak veloce dritto verso la scogliera, ero lì nel Golfo con bellissime alte scogliere a picco sul mare, battute dalla forza del vento e dal mare. Onde altissime ed i frangenti con le creste rovesciate che si infrangevano sugli scogli, sentivo solo l’ululato del vento, uno spettacolo unico. 
Il primo tuffo sommerse la prua e per un momento pensai che non sarebbe riemersa, poi nel vortice della schiuma rividi la prua che si innalzava verso l’alto e una massa d’acqua mi colpì sommergendomi fino ai gomiti.  

Capitano64 con Franc3sco

Sono stato sopraffatto da uno stato d’inquietudine, direi che ho avuto paura. Paura di dover sospendere il viaggio, paura per la mia incolumità.
Ora non avrei potuto, per nessuna ragione mollare il timone.
I muscoli del braccio dolevano dopo un’ora di sforzi continui sulla leva del timone, per evitare che il kayak battesse dannosi colpi nel cavo dell’onda durante la velocissima discesa dalla sommità di quella precedente. Strinsi con la mano destra il tubolare che sorregge l’ama evitando così, che la massa liquida mi strappasse dalla presa per buttarmi in acqua e tutto sembrava accadere lentamente. Mi chiedevo chi me l’avesse fatto fare, consapevole che comunque tutto ciò mi affascinava. Ormai ero alla metà del mio percorso e questa prova, ripensandoci ora, mi ha fatto pensare ancora una volta a Ulisse e alla sua terza prova: “l’otre dei venti”. 
In effetti, è stata anche per me una nuova prova, la terza. 
La prima prova affrontata in Liguria alla partenza, la seconda l’ho affrontata in Toscana e la terza qui in Campania. 
Terza prova, quella dell’otre dei venti dopo aver invocato l’aiuto di Eolo, molte e molte volte, forse è stato proprio come aprire l’otre e scatenare l’inferno.
O forse è solo stato un fenomeno atmosferico non ancora del tutto chiarito? Mi piace pensare a qualcosa di epico, ma per fortuna contrariamente ad Ulisse la mia prua ha mantenuto la sua rotta, mentre a lui è toccato un destino diverso dal mio e si è ritrovato in direzione opposta.
I ripetuti contatti telefonici con mia moglie per trovare al più presto un approdo sicuro, il nervosismo e lo stato adrenalinico mi hanno permesso di avere tanta forza e raggiungere Agropoli con i capelli in piedi, un po’ spettinato, ma adesso che ci penso credo di non aver portato con me nemmeno un pettine e in effetti non mi sono mai pettinato.
Tanto ero spaventato che sono entrato in porto con la vela piena di vento, infrangendo il regolamento della Capitaneria, ma finalmente ero al sicuro ed ormeggiavo in porto. 
Nel momento di calma dopo l’approdo una sensazione di calore mi pervase lungo tutto il corpo e solo allora mi accorsi che, tremando, aveva freddo. 


All’arrivo non potevo avere una miglior accoglienza, ne’ un premio davvero così grande.  UNA NOTTE IN UN VERO LETTO.
Grazie a Franc3sco e alla sua famiglia sono stato rifocillato e rimesso a nuovo.  Il giorno successivo ho lasciato gli amici a malincuore, ma con l’entusiasmo di essere già a metà strada. Palinuro, Marina di Camerota, Sapri ultime tappe campane, ma posti davvero splendidi.
Come potrò dimenticare queste coste? La sosta forza a Maratea presso la Lega Navale, ormai rifugio sicuro e grande sostegno per me, a causa del maestrale già previsto, così da permettermi di avere un’ormeggio in una piccola spiaggia raggiungibile solo da me e tutta per me. 
Dopo ventuno giorni di navigazione ho così avuto modo di recuperare energie, dormire così vicino e immerso nella natura. Quel piccolo paradiso mi è stato utile per ricaricare le batterie, le mie e quelle di tutti gli apparati elettronici. 
Lasciate le selvagge spiagge con bellissime calette e anfratti Tirreniche della Basilicata, ho iniziato a percorrere l’ultima regione prima di raggiungere la mia Sicilia: la Calabria.

Capitano64 con Franc3sco


Questo tratto di costa è stato molto impegnativo, ma almeno il vento questa volta mi è stato di grande aiuto.
A Cetraro ancora ospite della Lega Navale, ormai la mia casa di appoggio in questo lungo viaggio, ho incrociato la Goletta Verde al fianco della quale, veramente un po’ più indietro ho percorso alcune miglia per rincontrarla successivamente il giorno seguente.
Questo viaggio mi ha dato modo di vivere il mare come mai non avevo potuto, godere attimo per attimo e assorbire tutto quello che mi è stato offerto, tutto ineguagliabile.
Mentre lo sguardo verso la terraferma era appagato dalla successione di tre fasce di colori in contrasto tra loro: l’azzurro del mare che a pochi metri dalla riva diventa celeste, il bianco smagliante della spiaggia di sabbia ed il giallo dei campi di grano appena mietuto che sale verso le colline.
A Maratea mi sono addormentato ascoltando una spigola che cacciava, e a Cetraro, ho dormito su un pontile che mi cullava, con la sensazione di cadere prima o poi in acqua. 
A Campora San Giovanni ho dormito in una casettina senza porte e finestre, ma il contesto era davvero unico. 
Al termine di tutti i giorni, percorrevo le ultime miglia in preda alla stanchezza e certe volte con la sensazione di non farcela, pensando che quegli ultimi istanti servissero solo ad aggiungere un mattoncino alla costruzione dell’avventura, riusciendo così a trovare quell’ultima centellinata energia che era lì nascosta, ma forzata dalla volontà di arrivare. Sì, arrivare sempre, anche quando il tuo percorso, per quanto pianificato ti svelava e regalava ogni giorno una sorpresa diversa.
Uscire ogni giorno avendo studiato le previsioni del tempo, del vento e il moto del mare, invece scoprire nelle otto ore e più trascorse, che in mare avresti potuto trovare sempre l’inaspettato; per questo mi sentivo sempre pronto e vigile.  
L’attenzione non calava mai, come non diminuiva il rispetto profondo per il mare.
Le mie priorità per quanto semplici, come alimentarsi e riposarsi diventavano essenziali, anche spegnere il telefono in navigazione per preservarne la carica in caso di necessità diventava anch’essa necessità primaria.


Vibo Valentia, il promontorio di Briatico, Tropea Capo Vaticano, mi sono sembrati tratti di costa molto lunghi ed impegnativi.
La traversata della costa calabrese è stata lunga e molto dura, sembrava non finisse mai, o forse, il sapere che ben presto avrei dovuto attraversare lo stretto di Messina, me la faceva sembrare ancora più lunga quasi quanto la mia barba incolta.
Ho lasciato la Calabria svegliato dai crepitii distinti e continui alle mie spalle: stava bruciando la macchia mediterranea.
Normalmente il carico del kayak richiedeva circa un’ora, ma quella mattina credo di essermi svegliato, preparato ed entrato in acqua solo in mezz’ora.

Il Capitano del porto


La stanchezza e il risveglio traumatico li avevo già dimenticati, appena intraviste alla mia destra quelle piccole isole una, due, tre, quattro, cinque…. e poi ne avevo notata un’altra un po’ più grande, lì alla mia sinistra molto più grande: era la mia meta, le mille miglia sembravano ormai essere lì alla mia portata ed ho ritrovato così una grande forza, la stanchezza era già svanita.
Forse per quel profumino solo immaginato della pasta con le “mulinciane” e degli arancini, quelli che normalmente durante l’attraversamento dello stretto, a bordo del traghetto ero abituato a mangiare.
Per il momento dovevo accontentarmi solo di un bel brodino. 



Mi aspettava la traversata, dovevo solo scegliere il punto più idoneo e l’orario giusto per la marea con flusso discendente, altrimenti rischiavo di trovarla al contrario. Sono arrivato a Cannitello dove chiedo consigli per la traversata ad un pescatore che ascoltandomi pazientemente prima di darmi i suoi consigli su come affrontare lo stretto mi chiede da dove arrivo e perché vado in Sicilia. Rimango attonito, mi vengono in mentre diversi motivi, ma nessuno a lui sembrava plausibile.
Sono dovuto tornare indietro fino a Scilla da li uscire fuori, dritto qualche miglio e per magia ho trovato un primo flusso di corrente che dolcemente mi portava con se a 3,7 nodi.
Non tento nemmeno di capire, lascio che il kayak vaghi per il mare pescoso,  tra gorghi e ondine dalle forme che si fanno sempre più strane man mano che la corrente mi risucchia. 
Ed eccomi finalmente ad attraversare lo strano mare dello Stretto di Messina, con gli occhi brillanti e lo sguardo che spazia sul mare fatto di gorghi e correnti, di navi e spadare dove mi attendeva una bella sorpresa. Un piccolo pesce spada con una grande spada, di circa mezzo metro che per ben due volte mi ha schiacciato l’occhiolino, per poi sparire nuovamente nelle acque, mi aveva dato il benvenuto nella terra del sole, amore e arancini. 
Ho dovuto velocemente issare la canna, anche se ci avevo pensato ad un bel pesce spada alla griglia, ma la priorità era la navigazione, e salutato il pesciolino, mi sono concentrato sulla traversata.  
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Alle ore 18:00 del 21 luglio ho toccato terra di Sicilia in località Acqualadroni, senza sciogliere la vela, senza dare un colpo di pagaia o usare i pedali ma sfruttando le correnti dovute all’incontro-scontro dei due mari, il Tirreno e lo Ionio.
In tempo per godere del sole che cala rosso all’orizzonte sul mare, il kayak ad appena un paio di metri dalla battigia e una tiepida serata senza nè vento né risacca.
L’avventura dopo il riposo e la soddisfazione di essere già in Sicilia, doveva continuare. 
L’obiettivo erano le mille miglia, quelle che mi avrebbero permesso di raccogliere i punti omaggio delle miglia raggiunte per il viaggio di ritorno.  
Tutte le partenze all’alba mi hanno sempre regalato qualcosa di speciale: il silenzio, la pace, il cielo, l’incontro con i pescatori e le loro barche colorate.
Una piccolissima barca mi ha colpito in particolar modo, un piccolo cabinato di neanche tre metri, da non credere più piccolo del mio kayak, naturalmente il cabinato era auto costruito, ma dignitoso e visto all’alba era per me la più bella barca mai incontrata. Il mare di Sicilia però mi stava preparando un’altra sorpresa.



Partito da Acqualadroni all’alba in direzione Milazzo, tra un’occhiata al cielo e una alle previsioni, calcolo che forse ce la faccio, ma solo se Windfinder ci azzecca, mentre Poseidone indica tutt’altro.
Superato il capo omonimo molto velocemente, prima del previsto, grazie al vento e alle correnti favorevoli, ho voluto proseguire per raggiungere Capo Calavà, ma ben presto mi sarei reso conto che non era stata una grande idea.
A circa sei/sette miglia dalla meta e a tre miglia dalla costa, tuoni e l’orizzonte illuminato dai lampi che a me (rimanga tra noi) incutono timore. Il cielo e il mare erano diventati molto scuri, il mare si era alzato improvvisamente, ho dovuto con molta difficoltà ma velocemente dirigermi verso terra  ingranando la quarta, la quinta marcia, ed anche la settima, credo di non aver mai pedalato così con tanta forza ed energia vitale. 
Aiuto, penso senza volerlo, sto per morire. 
L’entrata del porto era assediata da innumerevoli barche che rientravano a grande velocità, istantaneamente mi sono reso conto che era un grosso rischio navigare in quella direzione e così saggiamente ho diretto la prua verso la spiaggia adiacente.
Mi trovavo a Tonnarella di Furnari località confinante con Porto Rosa, la sosta sarebbe durata diversi giorni, ma almeno in quei due giorni precedenti avevo percorso ben ottanta miglia. Sulla spiaggia quella notte eravamo solo in due, io e quell’ombrellino da sole, che per gentile concessione di un bagnante distratto, era diventato il mio riparo sotto la pioggia ormai diventata incessante. Attrezzato con una super tecnica tenda monoposto che mi ha consigliato il mio amico Ecker69 sono rimasto sempre asciutto. La tenda ha superato tutti i test di resistenza all’umidità, alla salsedine e alla pioggia scrosciante.
In quelle condizioni apparentemente precarie, non mi sono fatto mancare proprio nulla, il giorno successivo all’arrivo a pranzo, mi sono accontentato solo di due pesci spatola, la colazione con granita e brioche, mentre per cena una pizzata con nuovi amici.
Quel giorno hanno battezzato il mio kayak “casciuni”.
I pescatori locali non ci credevano, che fossi partito da Genova ed ero arrivato in Sicilia proprio con quel “casciuni”. Portorosa è un bellissimo porto. Dal mare non si direbbe, è un posto davvero fantastico ed ho fantasticato proprio lì, di fronte all’impagabile vista delle isole Eolie, che potrebbe essere davvero il posto ideale per la mia vecchiaia.


Avevo previsto la partenza per il giorno successivo, ma un’avaria improvvisa, successa solo dopo un paio di miglia mi ha bloccato un giorno in più.
Il cavo della catena dei pedali si era spezzato, probabilmente a causa di tutte quelle miglia a pedali e a quella folle corsa della domenica per guadagnare velocemente un approdo.
Aspettare il pezzo di ricambio, comunque già ordinato, avrebbe voluto dire fermarsi troppi giorni, anche se non mi sarebbe dispiaciuto sostare qualche giorno in più insieme a Capitan Jack Sparrow e la sua Perla Nera “Laila”, un caicco bellissimo di 15 metri, che può essere affittato per il giro delle Eolie e non solo, ma grazie a meccanici esperti del porto, i pedali, in una sola mattina erano già sistemati, grazie a Carmelo e Domenico.
Avevo pensato a tutti i ricambi possibili per la vela, ma pur avendo molta cura delle parti meccaniche, che venivano puntualmente lubrificati ad ogni sosta, avevo trascurato la possibilità che i cavi sotto stress continuo delle mie gambe ormai forti come l’acciaio avrebbero potuto deteriorarsi.
Basta, è tempo di andare, sono due giorni che sono qui, e da due giorni il vento segue lento e fedele il ciclo del sole, con brevi tregue seguiti da salti e rinforzi. 



Sveglia alle quattro e mezza, sistemo le ultime cose e parto che è ancora notte con lo sguardo fisso sulla costa in direzione Palermo.
Traggo conforto osservando il cielo stellato, il mare è sempre mosso ma non è più vivo. Per ben due ore sono stato sotto la pioggia fittissima, non pensavo che giunto in Sicilia il tempo non sarebbe stato clemente con me.
Fuori dal ridosso, in prossimità del golfo di Capo Calavà, per capirci, là dove comincia il mare aperto, il vento non era calato affatto, batteva al mascone di sinistra, forte e rafficato.
Nonostante la direzione, non mi pareva grecale. Era più una “termica”, aria che scendendo giù dai versanti montuosi, accelera, si riscalda e si fa sentire. Oggi, l’idea originaria era quella di arrivare a Sant’Agata di Militello e data la velocità media, grosso modo, contavo di essere lì nel primo pomeriggio.
Senonchè gli eventi hanno deciso diversamente. All’altezza di Tindari è entrato un vento al traverso niente male, che mi ha spinto a velocità smodata. Poi all’altezza di Capo Calavà, un altro mondo: due fronti d’onda contemporanei, vento che gira e poi salta di 90°, così in un attimo! Svolgi la vela, rolla la vela, ecco quest’ultima mossa, azzeccatissima perché l’onda arriva da prua mentre il vento ce l’ho di poppa.
E poi di punto in bianco superato il promontorio mi sono ritrovato di bolina, e il kayak si è stabilizzato, e ha cominciato a tagliare la schiuma.   Il kayak va, va, va ed il vento è calato, poi ha girato e sembrava montare di nuovo ma no, niente da fare, ho rollato la vela e alle 18:00 sono arrivato nel porticciolo di San Gregorio Bagnoli.
La successiva sosta prima di Capo d’Orlando a San Gregorio Bagnoli, mi ha fatto ripensare alle 70 miglia percorse due anni prima con Ecker69, Seadog e Francesco da Sant’Agata di Militello a Milazzo.
Sant’Agata di Militello sarebbe stata la successiva tappa, dove avrei incontrato alcuni amici. Spiaggiare è stato davvero durissimo. Sulla battigia ho trovato un metro di sassi, non so proprio come sono riuscito ad issare il kayak oltre la montagna di “cuti”. Dopo aver mangiato con gli amici quello che la signora del chiosco mi aveva consigliato: panino con pesce spada, pomodori, capperi e chissà cos’altro e una mega granita di fragole con la panna; il mio viaggio e i miei sogni, cullati dalle onde e spinti dalla brezza, in un dolce lasco verso le mille miglia, doveva riprendere alla volta di Palermo.Santo Stefano di Camastra, la città delle ceramiche, la prima sosta dopo poche miglia, un riposino veloce e sono ripartito all’alba, direzione Rocca di Cefalù, l’ultima provincia siciliana prima di tornare nella mia provincia dove avevo fissato il mio arrivo.


Ho la lenza a mollo e in fondo alla lenza un nuovo “artificiale” comprato a  Maratea, visto che il vecchio “princess”, quello che aveva fatto sfracelli,  ha finito i suoi giorni in bocca a un qualcosa di grosso e cattivo che l’ha rapito negli abissi nel centro del Golfo di Napoli.
La canna si flette e il mulinello sgrana.
Stavolta non mi faccio fregare, e invece di virare e rollare la vela, mi dedico subito al pesce.
Impugno la canna, controllo che sia ferrato e immediatamente viro di 45°. Preso.
Comincio a recuperare, io avvolgo il filo e lui lo svolge con gli interessi. Certo è, che non è facile come il maccarello catturato lungo la costa calabra: quello non mi ero neppure accorto di averlo allamato, e me lo sono trascinato dietro per chissa quanto tempo prima di far caso alla sua presenza.
Ma del resto, tutto si può dire di me tranne che io sia un pescatore provetto.
Viene su con molto sforzo, dicevo: “è un pesce grosso”. Poi vedo le pinne, molto sviluppate.
Che pesce è? Mi chiedo tra me e me, ma le pinne spariscono, e non riesco ad immaginarmi in quale posizione sia la mia preda. Mentre la recupero, qualche strattone energico e via almeno 20 metri di trecciato, fino a che ce l’ho a meno di 10 metri, e lui comincia a boccheggiare fuori dall’acqua.
Ma no, non può essere di nuovo, al terzo strattone ha rotto la lenza all’altezza del nodo di congiunzione con il terminale.  
Poi tra me e me, tornado alla scottina e alla vela, “ciao ciao, cena”.


Prima di arrivare a Palermo ho dovuto sostare a Mongerbino forzatamente.
Sono rientrato con cinquanta barche, compresa quella della Capitaneria, a causa di una termica giunta improvvisamente nell’area antistante Palermo.
Nel momento esatto, in cui fermo sottovento, circondato da tutte quelle imbarcazioni, mentre osservavo i visi delle persone degli equipaggi mi ha colto improvviso uno slittamento spazio temporale quel tanto che basta per accorgermi stupito che non avevo più fretta.
Tutte le ansie erano svanite per lasciare posto alla realtà, vivevo il presente ed ero in compagnia del mio amico Seadog che mi aveva raggiunto via terra. Appena è stato possibile ho raggiunto con il mare ancora agitato, Aspra, dove ho potuto alare il kayak in un area protetta e Seadog era lì ad aspettarmi. Dopo l’ottima cena che mi hanno offerto Seadog e la sua famiglia sono tornato a dormire accanto al kayak sotto ad un’invasatura di una grossa barca e il mio sguardo era rivolto ad una gru di quelle che comunemente vengono usate nell’edilizia per la costruzione degli edifici, invece questa era usata per alare e varare le imbarcazioni. 
L’indomani, all’alba, lascio il mio rifugio per avventurarmi in mare lasciandomi a poppa una scia spumeggiante in cui affonda tesa la lenza.



Solo 12 miglia mi separano dal raggiungere la Lega Navale di Palermo, davvero un luogo molto suggestivo. 
Ancora una virata, e finalmente posso puntare diretto all’imboccatura di Arenella. Una bolina larga addirittura con vento che ridonda facendo accelerare sempre di più il kayak. 
Tic tic tic tic…….Mi giro verso poppa e realizzo che la lenza è ancora a mollo, e che sta interagendo con la pala del timone in un rapporto contronatura.
Non faccio nemmeno in tempo a sollevare il timone che tutto si risolve.
Completo comunque le operazioni e dopo diversi secondi di trance, mi rendo conto che comincio ad essere parecchio stanco ma con un sorriso soddisfatto di chi è sopravvissuto a un altro giorno di mare. 
Sono stato accolto dalla Lega Navale di Arenella in una piccola insenatura nei pressi dell’Ospizio Marino, un luogo incantato. Tornato a prendermi Seadog, abbiamo scorrazzato in motorino su e giù per le vie di Palermo, conoscevo già la città ma con lui ho apprezzato luoghi e sapori.
Sapori che avevo già gustato la sera prima a casa sua, durante la cena.
Che musica dalle dieci di sera alle tre del mattino successivo. Ho potuto dormire solo tre ore  ed è stato come essere lì dentro, nella discoteca confinante a tirare l’alba. Giro di boa.


Sorge il sole sulla via del ritorno.
Trovato rifugio per la mia ultima tappa, a Termini Imerese, sempre presso la Lega Navale, mi aspettava il riposo prima dell’arrivo.
Intravista la Rocca di Cefalù e superata, il sogno si sta avverando. 2 Agosto 2012 38° parallelo tratto di Costa Comune di Motta d’Affermo, il luogo dove ho iniziato a nuotare da piccolo.
E’ proprio qui che volevo arrivare. 

38° 00’ 26’’ NORD 14° 17’ 48’’ EST Mille miglia  Un sogno… …. Oggi realtà ………/)…….     

Sono molte le persone che ho incontrato per mare e nelle mie soste.
Mi sono stati offerti aiuti spontanei, rispetto, umanità e amicizia, tutto questo ha reso davvero indimenticabile questa lunga navigazione.
Ma ho provato momenti unici ed indimenticabili.
Oggi sono qui a raccontarli. 



Dedico tutto questo a chi ha saputo vivere, cantare e scrivere del mare.
All’uomo, al suo istinto che spesso ci guida e ci rende consapevoli del nostro essere.
A tutti Voi. Grazie agli incontri così diversi ed unici, ho percepito un senso quasi mistico, puro e spirituale che esiste tra gli esseri umani ed io ho offerto loro il rispetto e tutta la dignità che ogni essere merita. E per questo che voglio davvero ringraziarvi tutti: Renzo, Le Sirene di Castelsonnino, Stefano, Mauro, Tony, Patrizio, Marco, Gabriel, Moustafa’, Gabriele, Renata, Sergio, Raffaella, Lello, Ugo, Danilo, Arturo, Salvatore, Diego, Franco, Pasquale, Yuri, Eagleph, Maria Grazia, Agostino, Mimmo, Massimiliano, Biagio, Franco, Carmelo, Cap.
Sparrow ed equipaggio, Antonio, Gionny, Fabrizio, Rosario, Ri65, Gijio, Rodeo, Freddy. P, Big Game, Tosco65, Pomatomus, Dragonfly, Butterosw, Ghostyaker, Ruro, Fidelio, Capitano64, Encho, Powserlover, Giampy52, Gnukket, Husky13, Cera, Franc3sco e Famiglia, Xenosw, Nik65, Guedro61, Fabio 1786, Costa.
Ovest, Il Nonno, Seadog e Famiglia, Nem, Gatto Rosso, Nitrox23, Hadamo, Rombo di tuono, Gualt58, Prokayak, Sirena59, Ecker69, Lavagna 1958, Clerma, Ciarli, Tondox, Fabio e c., Adelmo, Cantagallo, Marcom66, Il duca 90, Animale, Roy8, MarcoFabio, Redman, Santiago, Lucolo, Nicola.
Tutte le sedi della Lega Navale, e un special guess a Mauro della  Lega Navale di Pomezia, che mi ha sostenuto nei momenti difficili.  
Tutti i circoli velici, nautici ed i lidi. 
Tutti voi avete reso indimenticabili le mie serate a terra, e quieti i miei bivacchi.
Grazie a Gisella, mia moglie così lontana, ma sempre al mio fianco. Grazie a tutte le persone incontrate sulle spiagge ed in mare.  ….ai due finanzieri sicuramente prossimi kayakers.
….Ed a quel capitano, che non ha avuto esitazione a chiedermi, vedendomi in difficoltà, durante una di quelle temute termiche, se volevo essere trainato e la mattina successiva non ha esitato ad offrirmi anche il pranzo a bordo del suo legno in rada.
A tutti coloro, che ancor oggi in mare e sulle sue coste, rispettano il suo codice. Una sensazione che conosco bene, è la perdita di un’identità che è fatta di quello che gli altri pensano che tu sia più di quello che che sei veramente, e un navigante è ben presto un capitano che sapendo navigare approda a tutte le spiagge.
A me, invece che ho un po’ di miglia nella scia, che il ricordo dell’avventura e del mare resti a lungo negli occhi e nel mio cuore.   Mille miglia un sogno..…… …………………………..…
Oggi realtà …………………………………………………./)……………………………… Paolo Mascarello  2 agosto 2012